Dalla Toscana fino a Creta e ritorno, passando da Malta. DUEMILACINQUECENTO miglia a vela in famiglia: aneddoti e riflessioni di una vacanza un po’ epica.
PRIMA PARTE
Siamo da sempre in quattro. Un inguaribile appassionato ed esperto velista, mio padre Paolo, il nostro comandante, e tre malcapitati trascinati dal capitano nel mondo della vela non appena è stato possibile: mia madre Cecilia, mio fratello Gregorio ed io – che sgambettavamo contenti tra cime e timone già a qualche anno di vita.
Una famiglia ma anche un equipaggio ben collaudato, quindi: da che ho memoria, ogni estate almeno qualche settimana è stata dedicata al Mediterraneo – e più crescevamo noi piccoli velisti, più aumentavano le miglia percorse. La vela ci è stata insegnata presto, e la passione per ciò che stavamo apprendendo è nata quasi contemporaneamente: adesso che posso realmente comprendere la bellezza di ciò che all’inizio pareva un semplice gioco, i viaggi si fanno sempre più intensi, ricchi di sfumature, movimentati – e con l’ammontare delle esperienze cresce anche il desiderio di condividerle raccontandole, di trasmettere a mia volta qualche briciola di una grande passione.
Quest’anno siamo partiti in SEI : la famiglia al gran completo ed un membro acquisito che ha superato brillantemente i test di ingresso in numerose esperienze precedenti ed ormai è parte del team. Si chiama Luca ed è stato ipnotizzato dalle meraviglie della vela e del mare come noi, ha una ventina d’anni e sempre la battuta pronta – il che gli conferisce addirittura la lode all’esame di ammissione nel gruppo.La sesta partecipante non possiamo dimenticarla, dato che ci ha scarrozzato in lungo e in largo, è Lei, Mistero Blu, la nostra amata barca, un modello sempreverde nonostante i 16 anni suonati, di un noto cantiere svedese.
Ci siamo tuffati nel Mediterraneo all’inizio di Agosto. In Toscana abbiamo mollato gli ormeggi e abbiamo puntato la prua verso Taormina, in Sicilia.
Una prima tappa ambiziosa: l’intera costa italiana in un soffio, senza pause – dimenticata. Questo poiché non appena pacati entriamo nel flusso degli elementi, la vita cambia: la terraferma non conta più, e fermarsi diventa un peccato. Lo scafo scivola dolcemente per tre giorni spinto da un debole vento da nord ovest, e noi cancelliamo fretta, ritardi, stress, appuntamenti. Ognuno entra armonicamente in sintonia con gli altri e con se stesso: dipendiamo unicamente dalla natura, adesso. E’ il vento che ci spinge e che realmente decide le nostre mete future, che governa, che dirige il ritmo delle giornate – ed è dalla disarmante semplicità di questo concetto che deriva l’armonia che ci avvolge. Riscopriamo la calma, la riflessione: per la prima volta possiamo lasciare scorrere il tempo, i pensieri evitando di fremere o roderci dal senso di colpa. Il tempo si dilata e la noia non esiste: tre giorni sfumano in un attimo, circondati dal mare che danza e profuma e potente ci spinge, senza fretta, fino a Taormina.
Qui trascorriamo qualche giorno bollente a zigzagare tra i turisti nelle microscopiche vie acciottolate del paesino, cercando di cogliere quanta più bellezza possibile tra arancini volanti e gelati semisciolti e bastoncini per i selfie. Ne carpiamo solo qualche frammento, ed il caos unito alla ferocia delle temperature ci ha come spintonati lontano dalla costa, affamati di mare: trecento miglia in un morso, destinazione Pilos, nel Peloponneso.
Giungiamo a destinazione lievemente arruffati: in due giorni siamo passati dal sentirci come in una lavatrice – il vento è stato notevolmente bizzoso – all’assaporare la notte di calma sotto un tappeto di stelle, sereni ed ormai dimentichi di pioggia e fulmini.
La stessa pace ci accompagna fino al giorno successivo – quando soddisfatti ed intraprendenti partiamo in auto per cogliere un assaggio di Grecia, miscuglio di storia grandiosa ed attualità controversa in un’immersione di una decina di ore. Quest’ultima si rivela buffa ed affascinante: scopriamo che la vita, nei paesini di campagna, è piacevolmente rimasta incastrata negli anni ’60. I motorini si guidano senza casco e le donne si fanno accompagnare a fare la spesa sedute con le gambe accavallate da un lato, elegantemente. Si respira tranquillità ed un lieve sentore di indifferenza di fronte ai problemi: è come se gli sguardi colti lungo il percorso dicessero “ Non preoccupatevi, prima o poi i problemi si risolvono. Magari possiamo provare a partecipare, se faticano. Altrimenti, aspettiamo.” Ed in questa inconsueta parvenza di attesa perenne sorprendentemente procedono, lentamente, ma avanzano: coesistono e palesemente si notano una latente disorganizzazione unita alla pacata e felice tranquillità che le persone emanano, abitanti di una terra priva di cemento e ricoperta di ulivi, desiderosi forse di preservarne il fascino, di continuare ad ascoltare i sussurri che aleggiano e raccontano di leggende millenarie ed incantano, alla fine, chiunque.
E dopo l’entroterra ci aspetta la costa: scoviamo una baia dalle ingannevoli ammalianti sembianze caraibiche – un momento di ristoro dopo la frastornante esperienza in auto, e prima della navigazione verso Creta, che sospettiamo essere altrettanto confusa. Qui gli Addams accolgono fiduciosi un novellino, Giulio, il mio ragazzo, arrivato direttamente in giacca e cravatta da Londra ma con la crema solare furbamente nascosta nella tasca interna. Promosso.
Siamo a Rethymno, costa nord ovest. Il porto rappresenta la versione rimpicciolita dell’intera isola: ci troviamo in un luogo dove i contrasti coesistono senza scontrarsi, dove accanto ad un meraviglioso antico paesino veneziano si trovano moderni orribili palazzi di cemento annerito e strade trafficate; la natura spazia dal mare, ai campi coltivati da contadini con metodi antiquati che vivono in villaggi in compagnia di più capre che persone, alla montagna vera e propria dove d’inverno si scia e d’estate si fa trekking. Tutto ciò, abbiamo constatato, ha un denominatore comune: ciò che è moderno è sgangherato e ciò che è antico attraente ma, soprattutto in campagna, consunto.
Per questo motivo, dopo solo un giorno di visita, decidiamo di sfidare il mar Ionio, di affrontare le cinquecento miglia che ci separano da Malta nonostante le previsioni poco allettanti. In realtà, scalpitiamo dal desiderio di inebriarci nuovamente dell’incantesimo della navigazione.
Matilde Casoni