Oceano Pacifico
Posizione: 17°08′ Sud 172°07′ Ovest
miglia percorse da Bora Bora 1170, mancanti al WP passaggio sud di Viti Levu, Fiji 530
(600 a port Denerau – Costa occidentale Viti Levu)
Quando ci si prepara per una lunga attraversata oceanica uno degli aspetti fondamentali è studiare accuratamente la situazione meteorologica, cosa che chi mi conosce sa bene come mi affascina, e come me anche Amancio, velista ed ospite di Milanto, per cui ci troviamo ad analizzare file grib, sinottiche e Pilot Charts, che confrontiamo con il nostro router italiano, Gianfranco Meggiorin di Navimeteo e chiediamo anche il parere del famoso Bob Mc Davit, icona della metereologia del Sud Pacifico cui fanno riferimento quasi tutti i navigatori che si accingono a fare rotta verso la Nuova Zelanda o verso l’Australia. Noi non siamo da meno, anche se alla fine troppe informazioni possono confondere più che aiutare, tuttavia ci pare interessante questo confronto, ma soprattutto ci diverte.
L’oceano Pacifico è immenso, tre volte l’Atlantico, per cui i fenomeni meteorologici che sono sottesi ai famosi trade winds, o venti portanti, i famosi alisei, con direzione Sud-Est in Pacifico, non sono poi costanti come in Atlantico, sono disturbati dalle depressioni a sud del 25° parallelo, frequenti come il raffreddore d’inverno e soprattutto definiti fino a Bora Bora, poi le cose si fanno più complicate e molto variabili.
Se è vero che si può credere attendibile una previsione meteorologica fino a 8-10 giorni in Oceano per le scarse influenze orografiche, è altrettanto vero che su una tratta di quasi 2000 miglia, con questa variabilità, è praticamente impossibile non incappare in qualche situazione impegnativa.
Noi di Ariel, Milanto e Sea Lover, le tre caravelle superstiti ci troviamo in una condizione “amministrativa” particolare dato che le autorità che conferiscono il via libera vorrebbero che l’imbarcazione lasciasse le acque entro 24/36 ore dalla firma (la burocrazia è assurda), ed in più al proprietario di Sea Lover scade il visto il 7 luglio; quindi sarebbe meglio partire prima, per poi farne un altro a Fiji. Decidiamo però di fregarcene della burocrazia e di partire quando il meteo ci dà la finestra migliore… e qui ci rendiamo conto della difficoltà.
Un Maramu, ovvero il temuto rinforzo da sud est è ancora vivace e l’abbiamo schivato arrivando al ridosso della laguna di Bora Bora proprio prima che arrivasse (8 giorni), ora si apre una finestra buona per 24 ore, ma lo studio della lunga tratta ci dice che troveremo due situazioni serie. La prima 24 ore dopo la partenza, quel “ridge” di alta pressione di cui parlavo precedentemente, ma soprattutto dal 12 luglio un altro violento Maramu si scatenerà proprio sulla nostra rotta per una tratta di 500 miglia circa, con ipotetica prematura forza 7 e 3 metri d’onda. Questo in teoria.
Partiamo lunedì mattina 6 luglio alle 10.00 con 15 nodi di sud est, una brezza piacevole che struttura un oceano quasi regolare. Dico quasi perché il Pacifico non è mai regolare, è troppo vasto e troppo influenzato da spaventose basse pressioni a sud e a nord, creando un ribollire più che una swell classica. La brezza però non tarda a farsi sostituire da un generoso sud est a 25 nodi, che ci fa navigare egregiamente, sebbene capiamo presto che il mare ha una energia che nasconde qualcosa. Quindi 4 giorni a 30 nodi, con onde di 3 metri, che Ariel cavalca con maestria, facendo del suo meglio, ma soprattutto è la maestria e l’esperienza della Ceci, a garantirci pasti sempre a tavola nonostante il rollio a volte incessante.
E la tempesta? Ci abituiamo a questo tratto difficile, troppo irregolare con venti non di burrasca, figuriamoci dopo! Le tempeste non sono mai puntuali, anticipano i modelli e soprattutto sono di una forza superiore. I rinforzi si percepiscono presto, la sera del 10 luglio, quindi disponiamo un assetto opportuno, mantenendo genoa tangonato a sinistra e randa ridotta ad un equivalente di 4 mani e due mani al genoa (meno della metà). Presto arrivano 40 nodi ed il mare che puntualmente si ingigantisce, ingrossa è troppo poco. Si corre stabili e fortunatamente la notte oscura la vista del mare, sempre inquietante in certe occasioni. Piove. I groppi sono frequenti e violenti. Mettiamo a punto una copertura ideale del pozzetto che chiamiamo capsula, dove anche la pioggia torrenziale ci riserva solo qualche spruzzo, mentre a volte è tanto forte da appiattire il mare. Ariel scodinzola e noi ci aggrappiamo ai tientibene.
Il mattino mostra un oceano pazzesco, tanto bello quanto davvero gigante, nervoso, quasi violento. Irregolarità totale del moto ondoso a rendere la corsa una folle giostra sulle montagne russe, tanto che raggiungiamo i 14,2 nodi in planata su un onda, con vento stabile sui 38/40/42 nodi. Non molla e piano piano ci abituiamo ad attraversare un girone dantesco. Sentiamo due volte al giorno su radio SSB gli amici esperti di Milanto e gli inesperti di Sea Lover, il catamarano messicano, sperando che ascoltino i consigli di tenere una invelatura prudente. In parte sarà così.
Ora che scrivo è il 3° giorno consecutivo e non molla. Si stabilizza sui 30 nodi, poi d’improvviso arrivano raffiche lunghe e tumultuose fino a 40 nodi. I bollettini dicono che da mercoledì si attenuerà, quindi ci attendiamo ancora una due giorni di giostra.
La cosa più bella? Timonare Ariel in questo mare pazzesco. Pensavo alla traversata dell’Atlantico, una gita al confronto di questo oceano, che per farlo tutto si devono sommare 4000+1800+1600 miglia per arrivare in Australia (7400 miglia, ovvero più di 3 oceani atlantici). Il tutto per vedere due palme e le spiagge dei mari del sud… quando in Mediterraneo in 1000 miglia vedi tutta la storia dell’umanità. Ma qui siamo ed alle Fiji dobbiamo arrivare.
Meno male che piove. Pensate che in Atlantico facevo un punto col sestante ogni giorno con retta di sole, dalle Galapagos a qui non sono mai riuscito, nel senso che un giorno pieno di sole non l’abbiamo mai avuto. Navigare a lungo raggio questo è.
Ma torniamo alle cose di terra. Quando lasciammo Tahaa era per raggiungere Bora Bora, il vero mito della Polinesia Francese. Ultimo atollo prima del salto. La laguna di Bora Bora è riconosciuta come una delle più belle al mondo. Arriviamo all’unica passe dell’isola verso le 11, dopo una navigazione metà a vela e metà a motore a coprire le 28 miglia da Tahaa. L’ingresso è facile e ben segnalato, subito dirigiamo alle boe d’ormeggio dello Yachting Club Bora Bora, dove avremmo dovuto attaccare Ariel il 17 maggio, se non ci fosse stato il Covid. Ci arriviamo ugualmente, nonostante tutti gli ostacoli che abbiamo dovuto superare. La baia è davvero mozzafiato, ora gestita con campi boe perché l’ancoraggio è proibito per salvare il corallo. Abitualmente in questa stagione stazionano dalle 120 alle 140 barche (questo il numero delle boe disponibili in vari ancoraggi della laguna) . Noi siamo in 5, poi arriveranno Influencer dell’amico Matt e Amazing Grace, che ci raggiungeranno poi anche alle Fiji una volta fatte le pratiche istituzionali. Ma sempre un numero che riporta la laguna agli anni 70. A memoria, dicono i locali, non ricordano così poche barche. Scopriamo anche che qui atterrano e partono 25 voli al giorno, normalmente; ora tre alla settimana e solo da Tahiti.
Viviamo quindi nella sfortuna un grande vantaggio, entrare nel cuore di Bora Bora soli soletti. Non ci vuole molto a capire il perché di tanto successo. L’isola è davvero una perla. Sono state calcolate da un computer di un fotografo 18 tonalità di azzurro nelle acque della laguna, a farne un posto unico al mondo. Fortunatamente il vento violento che arriva il giorno dopo di noi spazza molto del cielo pesante del pacifico, tanto che riceviamo un regalo unico nel poterla apprezzare potendo ammirare i colori (sempre con l’ombrello nello zaino) perché comunque un paio di volte al giorno una “pisciatina” il cielo la fa.
C’è più vita che dalle altre parti nonostante il fermo covid, e tutti aspettano (forse) i turisti dal 15 luglio (mah…). L’isola è un po’ odiata dalle altre della Polinesia perché qui circola più denaro, tutto è improntato sul turismo, dal lusso sfrenato di 3.000 dollari a notte al resort del Four Season, ai 450 del resort meno blasonato (per cifre inferiori è impossibile). Ora però sono tutti chiusi, e questo conferisce un aria di abbandono, che però non tocca i locali, che se non lavorano, si siedono e aspettano.
Due amici di Milanto, Mark e Amancio approfittano dei saldi-covid e trovano due sistemazioni con bungalow sul mare a prezzi europei, tanto per vivere Bora Bora non dalla barca. Noi viviamo a bordo di Ariel, nell’angolo più riparato dell’isola, in un bellissimo Yachting club, con campo di bocce come in Corsica, ristorantino adeguato e vista a ovest spaziale. Si pensi però che la gestione del locale, così come la proprietà è di un turco, pure padrone del Bora Bora Beach, un ristorante sulla spiaggia più bella dell’isola; ed i polinesiani a pulire i pavimenti.
Affittiamo una Panda rossa per le nostre scorribande, e non la bici questa volta (il periplo sono 30 km), mentre preferiamo investire nel fare un percorso guidato con un’agenzia locale (unica aperta) per un tuffo nell’entroterra con una Jeep 4×4 per scoprire la vegetazione, un luogo sacro (solita pietra nera simbolo nel mezzo della foresta), e visita in alto nella montagna per ammirare la bellezza dei colori della laguna dall’alto; ogni strada che si diparte dalla principale per andare verso l’interno è privata ed a pagamento e percorribile solo con una guida.
Un’attrazione dell’isola, forse l’unica, a parte la natura, i cannoni portati dagli americani nella seconda guerra mondiale per contrastare un eventuale attacco Giapponese. Ne fecero una base USA, costruirono una banchina per le navi, un porticciolo, tutt’ora in uso, e scuole e case, così come portarono quindi i famosi cannoni puntati a proteggere l’unica passe. In realtà questo fu il motivo per cui scelsero Bora Bora: il fatto che è in mezzo al pacifico, ma soprattutto perché ha un’unica passe, semplificando la sorveglianza. I cannoni non spararono mai, perché nel momento in cui i giapponesi decisero di non mollare e di preparare l’attacco con i kamikaze, Hiroshima e Nagasaki posero la parola fine alle ostilità, ma questo è un altro argomento.
Isola piacevole, dove si respira aria di serenità e si intuisce in cosa si possa trasformare in epoca non covid! Ce lo dicono una milanese che ha impiantato qua col marito una attività di profumazioni per ambiente e per il corpo (dotiamo infatti subito Ariel della pozione magica al Tiare, fiore locale), ed un cameriere francese simpatico, incuriosito dal nostro parlare italiano, ed in un italiano corretto con modesto accento toscano ci dice che si è sposato a Follonica (sì, proprio Follonica) con una di Bora Bora, ed hanno vissuto in Italia e Francia 3 anni, poi il richiamo della suocera e della magia dell’isola hanno fatto il resto; ci dice che vivere a Bora Bora è come stare nel cotone, non esiste lo stress e nemmeno la criminalità, e prima o poi ti conquista.
Ultima fermata per un eventuale tatuaggio polinesiano. Che si fa? Cecilia si informa e scopre che a Bora Bora lavora e vive uno tra i più quotati tatuatori del pacifico, un artista, dicono. Le liste di prenotazione normalmente superano i 15 giorni, pertanto i turisti che arrivano prenotano da casa via internet anche un mese prima! Per noi dall’oggi al dopodomani. Luca di Sea Lover il primo, Cecilia la seconda e Amancio il terzo, io decido di soprassedere, non sono uomo da tatuaggio. Però è stato straordinario vederlo al lavoro, a mano libera, senza predisegno, un grande!
Fortunatamente apre un locale famosissimo, il Bloody Mary, che ha avuto ospiti ogni star del cinema o dello spettacolo o dello sport, per una cena-spettacolo per i pochi turisti presenti. Suggestiva la location, piedi nella sabbia e palcoscenico vicino ai tavoli e ci propongono uno spettacolo di danze tribali in costume, dai significati ignoti ma comprensibili, riguardanti il corteggiamento, l’amore, la famiglia e la guerra. Ciò che resta della civiltà polinesiana, quella che Gouguin aveva amato, dipinto e scelto come patria, ora decisamente in declino.
Nel frattempo le miglia fortunatamente calano, ma la burrasca resta.
Alla prossima da Ariel.