San Blas, 26 Gennaio 2020
Lasciata S. Marta il 22 gennaio abbiamo fatto vela verso l’arcipelago delle San Blas, circa 280 miglia verso ovest. In realtà non vedevamo l’ora di mollare gli ormeggi da Santa Marta e dalla Colombia per entrare nel mondo un po’ magico e surreale di queste isole.
La rotta è abbastanza semplice se si ha l’accortezza di passare larghi dalla foce del fiume Magdalena a Barranquilla, che con foce ad estuario, ed una non propria cura della ecologia degli abitanti colombiani delle sue rive, riversa in mare tonnellate di rifiuti galleggianti, compresi frigoriferi ed altre amenità plasticose, di ogni foggia, colore e dimensioni. Povero Pianeta. Nonostante le 20 miglia di distanza dalla costa, quando siamo al traverso di Barranquilla l’acqua diventa progressivamente da blu a marrone chiaro, e poi davvero marrone intenso, spengo il motore nonostante il poco vento perchè temo di aspirare fango, ma fortunatamente la distanza è tanta che rapidamente passiamo questo inquietante momento. Gli amici di Milanto sono passati a 5 miglia, dentro la fanghiglia, ed ora il motore non gli si raffredda più.
I guai però sono sempre dietro l’angolo, ed anche a noi è capitato un problema, l’ennesimo con le batterie, tanto che ne è esplosa una dopo una notte a motore per bonaccia, per overcharge si dice, nel senso che difettosa, ha continuato a dare il consenso all’alternatore di caricare, per cui al check che faccio, vedo sui termometri digitali esterni che ho collocato per sicurezza, una preoccupante temperatura di 87 gradi!!! Quando la normalità è 40. Disaster. Una batteria sigillata al piombo AGM aperta ed in ebollizione (scoppiata) e altre tre in condizioni non buone. Situazione di emergenza che risolviamo scollegando 4 batterie dal parco di 8 e mettiamo in atto il raffreddamento progressivo con ventilazione forzata e panetti di ghiaccio gel. Invio mail al comitato di regata per avere un supporto a Panama (Shelter Bay) prima di attraversare il canale. Tre batterie andranno sostituite, ma almeno il pericolo di una vera esplosione a bordo è stato scongiurato (grazie ai miei termometrini digitali acquistati a pochi euro su Amazon!!!) e quindi ad una pronta diagnosi. Il vento nel frattempo è arrivato e procediamo veloci verso le San Blas dove arriviamo il 24 gennaio alle 12 del mattino, in pieno sole, anche perchè un arrivo tardivo col buio sarebbe pericoloso per la assoluta mancanza di segnali luminosi, boe o fari, in una zona dove il reef corallino protegge microscopiche isolette basse sul mare, dove le cime più alte sono i ciuffi delle palme più anziane.
Una natura antica e rimasta come tale, senza resort, senza hotel, senza case in muratura, senza la possibilità che un umano occidentale avido di business possa farle sue e senza wi-fi. I Kuna Yala, la dignitosa popolazione di queste isole, ha lottato per secoli per mantenere la propria indipendenza, non solo con la diplomazia ma anche con la forza quando necessario ed oggi, nel 2020, ancora qui vivono con case costruite a mano, di paglia, foglie di banano e canne di bambù, si spostano sulle loro canoe filanti e robustissime per far fronte alle onde dell’oceano tra un atollo e l’altro, mangiano cocco ed ogni tipo di pesce o crostaceo di cui il reef è ricco fornitore.
Kuna Yala
Il nome San Blas lo hanno affibiato gli Spagnoli che tentarono in più occasioni invasioni, tanto mirate quanto infruttuose; e i Kuna non amano il nome San Blas e per loro le isole sono la casa dei Kuna Yala, punto. Società matriarcale, le donne decidono chi scegliere come compagno, l’omosessualità è considerata cosa normale, ed alcuni uomini girano con abiti femminili e si occupano di mansioni femminili in assoluta normalità. La comunità Kuna ha capi suddivisi per gruppi di isole, e si occupano dell’ordine ecologico, del controllo del turismo delle barche che transitano, e dell’allontanare malintenzionati. La ricchezza del posto è data anche dall’oro di cui i fiumi di questi luoghi sono particolarmente ricchi ed hanno ovviamente attirato non solo gli spagnoli, ma pirati ed altri mercenari. Oggi i Kuna hanno smesso di cercare l’oro nei loro fiumi perchè dicono che da quando non lo fanno si è sparsa la voce che l’oro non c’è più. Quindi da un artigianato locale di monili d’oro, sono passati alle stoffe, ed al confezionamento delle così dette “Molas”, collage di stoffe di bellissimi colori che vengono cuciti a mano ed assemblati in varie fogge e disegni. Non manca su Ariel un Molas sulle varie tonalità del verde raffigurante un pesce.
Popolo pacifico e sorridente non ha esitato a diventare violento e massacratore per tutelare la propria regione, al punto che gli Spagnoli sono fuggiti lasciando un relitto sul reef con un carico di Rum, e così pirati e mercenari sono spariti. Anche i traffcanti di cocaina non hanno vita facile tra i Kuna Yala, come ci raccontava ieri durante un’esplorazione di un’isola nell’atollo Holandes Est, nuova sede di una giurisdizione locale per controllare turismo e soprattutto droga. Oggi dovrebbe portarci un granchio blu per pranzo; la notte infatti i granchi entrano dal reef verso la laguna per nutrirsi della fiorente vita di minuscoli animali, dai micropaguri ai micropesci, che se riusciranno a diventare grandi, nuoteranno liberi verso il reef. Vita dura anche per loro. Non abbiamo molti giorni per sostare alle San Blas, quindi ci spostiamo ogni giorno in un diverso atollo per scoprirne, nella somiglianza, i dettagli che ne raffigurano invece una diversità. Oggi ci sposteremo infatti a Lemon Keys, un atollo articolato da decine di piccoli ancoraggi e dove due famiglie Kuna hanno fatto della loro casa una sorta di piccolo ristorante per chi transita in barca e preparano cenette allo stile dei Kuna, con latte di cocco, crostacei e pesce. L’aragosta è la loro pizza. Essere arrivati con i propri mezzi, spinti solo dal vento, avere attraversato due mari e un oceano, e barattare un kg di riso con uno sconto sulla Molas color Amaranto di Guido è davvero viaggio e ci fa sentire un po’ esploratori.
Vado all’ancora, ma il granchio non è ancora arivato…
a domani dal team Ariel