Diario 30
19 agosto 2020 mercoledì Vuda Marina, Viti Levu, Fiji
Siamo rimasti Cecilia, io ed Ariel. Gli amici coi quali abbiamo condiviso ogni attimo di questi 8 mesi, in mare o in terra, sono partiti per l’Indonesia: In ogni caso la fine di agosto avrebbe posto fine comunque a questa esperienza. Abbiamo anche noi esplorato l’opportunità di salpare diretti per l’Indonesia, ma poi, fatte le considerazioni che già si sanno, siamo felici di occuparci ora di mettere Ariel al sicuro e di rientrare a casa. Il volo di rientro, ovvero di reimpatrio, era in origine fissato per il 27, dato che ne parte uno alla settimana, il giovedì alle 14, poi l’agenzia di Auckland che collabora con l’ambasciata Italiana ci ha chiamato anticipandolo al 20. Questo accelera i tempi di preparazione, ma alla fine ci fa rientrare con una settimana di anticipo, tanto qui abbiamo solo il desiderio di tornare per aprire una nuova esperienza, e non più di restare ora.
Vuda marina è al lato opposto della baia di Nadi, a circa 6 miglia, ed è il più vecchio marina (20 anni) delle Fiji, costruito sfruttando un bacino naturale, circolare, che ne fa un perfetto Hurrican Hole, oltretutto dotato di un sistema di chiusa dello stretto ingresso, per lasciare il mare fuori in caso di Ciclone. Infatti in questo luogo le barche possono stare anche in acqua nella stagione “pericolosa”, affrancate con catene ad un gigante corpo morto al centro della laguna fatta a cerchio, ed alla riva, che è una banchina cementata, con picchetti che affondano oltre un metro nel cemento/terra; oppure nella vasta zona a terra, dove hanno scavato vere e propre buche (PIT) dove le barche vengono inserite, ovvero viene inserito il bulbo ed il timone, e lo scafo appoggia a copertoni di camion ai lati della “fossa”. Il Pit di Vuda è famoso nel mondo come posto sicuro, al punto che le assicurazioni marittime coprono con la “casco” le barche qui collocate.
Non c’è altro posto nella cintura dei cicloni dove questo avvenga. Ciò ci tranquillizza ed Ariel accetta sorniona questa strana sorte di una barca di venire interrata, ma se la racconta con Falabrach, un HR48 italiano, un Dufour 50 di Venezia ed una solida bella barca neozelandese , tanto per citare le vicine di casa.
Il lavoro di preparazione però richiede tempo. Vanno tolte le vele ed archiviate in un luogo asciutto, rimossa ogni suppellettile possibile preda di forti venti come il bimini, lo spray hood, e tutte le scotte e drizze vanno rimosse e riposte al sicuro.
Concordiamo con Marshall, un australiano velaio capace e bene organizzato lo storage di tutto e nel contempo decidiamo per un cagnaro speciale, a prova di tifone, basso sulla coperta, di tessuto traspirante ed anti UV diviso in 3 parti, che ha però il dovere principale di proteggere il teck, ed il pozzetto. Sarà pronto in 15 gg.
Provvediamo al lavaggio del motore con acqua dolce, come è bene sempre fare per soste superiori ai 2/3 mesi, ed al lavaggio e spurgo delle taniche delle acque nere, al pieno di gasolio (fondamentale per non avere condensa e per lasciare che i detriti si posino sul fondo, che poi aspireremo prima della partenza); lasciamo viceversa il serbatoio dell’acqua vuoto, per evitare contaminazioni batteriche inutili, e lo disinfetteremo in ogni caso adeguatamente al rientro. Servizio al motore e generatore con cambio olio e filtri (meglio non lasciare mesi un motore con olio esausto), trattamento del dissalatore come consuetudine e preparazione del tender che sia in scarico per la pioggia, ma in sicurezza sulle gruette. Tutto questo ha preso 3 giorni.
Abbiamo provveduto a Denarau alla lucidatura di tutto lo scafo e degli acciai con un prodotto protettivo particolare a rallentare i danni del sole sul gelcoat. Il marina offre comunque un servizio di guardianaggio che prevede un check settimanale o quindicinale della barca, con apertura degli oblò e controlli vari, mentre con i tecnici definiremo a suo tempo la manutenzione della elica ed il cambio della boccola, ora di fatto operazione scomoda da farsi dentro una buca di terra!
In questo mese oltre alla piacevole scoperta delle Jasawa abbiamo perlustrato l’interno dell’isola, fino a Suva, 180 km per 4 ore di auto, dato che le strade non sono come le nostre, e la velocità non può mai superare gli 80 km/ora; il fascino di Suva è il suo mercato del sabato ed il Grand Pacific Hotel, costruzione coloniale ristrutturata nel 2014 rispettando la struttura originale e dando una nota di modernità ad alcuni ambienti. La terza icona di Suva, il Museo delle Fiji, purtroppo è chiuso per restauro, un motivo in più per tornare.
Conosciamo Francesca, un’avvocato marittimo che opera in Pacifico da 6 anni per una ONG che si occupa della segnaletica marittima nei vari atolli, dato che in certe isole meno battute pare che sia la cartogafia che la segnaletica sia ancora oggi inesistente. Ora però anche lei è ferma per il Covid.
La pioggia non tradisce i detti popolari ma non impedisce la visita del mercato, dove ogni mercanzia commestibile, animale o vegetale, viva o morta, viene esposta. Una esperienza. Ci soffermiamo al piano superiore, quello destinato alla Cava, radice della tipologia della pianta del pepe, che macinata e miscelata con acqua fresca, ma non mescolata, filtrata con un sistema semplice quanto particolare con sacchetti di stoffa a doppia parete, in modo tale da ottenere un liquido color fango dal vago gusto di liquirizia pepata, di consistenza un po’ fangosa. Al mercato di Suva pare vendano la migliore Cava delle Fiji, quella che proviene da una particolare isola, ed è infatti la più costosa. Questa bevanda ha proprietà sedative e d aumenta il senso di benessere, diciamo che è la loro droga, nel senso che ne fanno uso nei villaggi, da sempre, alcune sere la settimana, in un rito fatto di canti e di “giri di cava”. Infatti è rito di chi va a visitare un villaggio, di portare in dono un po’ di Cava al Capo, in radice o in polvere, come gesto di amicizia.
Durante la nostra esperienza alle Jasawa la sera prima della partenza ci hanno invitato al rito della cava fatto dai locali. A semicerchio su un tappeto di foglie di bambù intrecciato, con al centro il “guru”, diciamo il croupier di una rulette, ha preparato in una grande ciotola di legno la miscela, ad ognuno viene data una mezza noce di cocco, ed a turno, prima comincia il “Capo”, od il più anziano o quello che viene designato quella sera come tale, gli viene versata una prima porzione di cava (small, medium o tsunami) a seconda della stazza e della sua propensione al venir avvolto dagli effetti della sostanza. Prima di bere bisogna dire BULA BULA BULA tre volte battendo simultaneamente le mani a coppa, poi d’un fiato si inghiotte la fanghiglia, e si ringrazia nuovamente battendo una volta le mani e dicendo VINAKA. Noi occidentali alla terza coppa di cava, con la lingua un po’ informicolata, ed una piacevole sensazione di soffice stordimento, abbiamo lasciato il tappeto a favore di una cena con cucina locale ed un buon vino rosso, mentre il gruppo dei “cavisti”…. Hanno finito il ciotolone… luogo che vai usanze che trovi.
E poi c’è Flaviano. Detto Flavio. Un’icona delle Fiji. Lo conoscono tutti, ma tutti. Ha una vera finta trattoria, che non è una trattoria, ma è un edificio dove vende prodotti italiani di altissima qualità ed occasionalmente su due tavoli che apparecchia all’istante, sforna pane croccante, prosciutto di Parma o salame lombardo, capocollo o soppressata e formaggi sardi o toscani, il tutto innaffiato da buon vino. Un ritorno alle nostre origini che diventa meta non quaotidiana, ma quasi per noi Italiani del mare, ma che facciamo conoscere a Peter, tedesco di Tri 2 fly, e Daniel il messicano di Sea Lover. Ma non siamo solo noi a servirci da Flavio, che non pare conoscere crisi nonostante il Covid! Infatti, esenti dal fantomatico virus, sono approdati in un’isola, appropriandosene con concessioni governative, ed ancorando due immensi superyachts di 40 metri, lo staff di tutti gli AD di Google compreso il capo che va e viene col suo jet privato “covid free”. Fanno tutti spesa da Flavio dei migliori prodotti Italiani. Quindi non è in crisi. Chiudiamo con una spaghettata da Flavio festeggiando il compleanno di Lorenzo, di fatto una occasione per salutarci e per fermare in un fotogramma questa unica, meravigliosa ed intrigante avventura che attraverso il mare ha permesso l’incontro, la conoscenza e la condivisione. Ma sappiamo che è un arrivederci.
VINAKA!