Diario 29
15 agosto 2020 sabato Denarau Marina, Viti Levu, Fiji
E’ passato quasi un mese dall’ultimo diario, quello del 18 luglio, all’arrivo alle Fiji, questo a testimonianza di due fatti, uno di come sia più diffcile scrivere a terra, e l’altro di come le giornate passino così veloci che capita ogni giorno di dire che scriverò domani, o come capita quando si deve iniziare una dieta, lunedì…
L’arrivo notturno alla baia di Nadi lasciava poco comprendere la natura del paesaggio, mentre aiutati dalla cartografia Navionics e da qualche luce di fonda (4 barche per la verità), riuscivamo a dare ancora in sicurezza sulla batimetrica degli 8 metri, di un golfo in realtà solo apparentemente libero da pericoli affioranti, sebbene discretamente segnalati.
Siamo arrivati di venerdì notte, dopo 11 giorni e 11 ore di navigazione, pertanto con ancora circa 3 giorni, ora più ora meno, da scontare per completare la nostra quarantena. Eravamo ignari, ma felici di essere approdati in una nuova terra, e desiderosi di scoprirla, dei tempi Fijiani. Qui esiste il “Fijian Time”, ovvero non fare mai subito quello che potresti fare tra un po’ e comunque non affrettarti mai, sorridi ed enjoy your life. Questo scorpriremo poi essere uno degli aspetti piacevoli della vita in queste isole, mentre ci sembra più pesante da sopportare quando, applicando le stesse regole e principi, veniamo lasciati all’ancora praticamente ignorati fino a lunedì, senza possibilità nemmeno di scendere col tender per andare dagli amici di Milanto o di Sea Lover; ci parliamo via radio, ed aspettiamo.
Una settimana dopo vengono a bordo a farci il test Covid, non senza una costante pressione del console onorario e dell’ambasciatore italiano, che hanno positivamente spinto la nostra pratica, perché avremmo potuto scontare non 8 giorni di pena all’ancora, ma i fatidici 14, nonstante 1800 miglia sulle spalle in acque libere. Questo è navigare in tempo di Covid, una tortura burocratica più che marina.
Finalmente sabato 25 luglio ci viene concesso il diritto di ormeggiare al porto turistico di Denarau, un moderno ed efficiente marina dove regna però una stasi spettrale. Il Covid ha spento ogni attvità turistica; le imbarcazioni che solitamente portano i turisti a zonzo per le isole presentano carene barbute dal tempo che non navigano, ogni attività commerciale è chiusa, fatta eccezione di un supermercato, più per i locali che per altri, ed un risto-bar-pub che ci accoglie la sera con musica dal vivo! Infatti è sabato.
Però siamo abituati a questo nuovo modo “Covidiano” di assaporare i luoghi, tanto che le impressioni che si ricevono forse un domani saranno deluse quando orde di migliaia di turisti si affolleranno su queste banchine per guadagnare una spiaggia o un ombra di una palma. Anzi, sono certo che saremo delusi.
Quello che però alle Fiji non manca mai è il sorriso delle persone, che apprezziamo anche perché non conoscono l’uso della mascherina. Qui il Covid non c’è, o se c’è non si vede, e siamo passati al BULA BULA (che praticametne vuol dire Ciao Ciao), è un modo di salutarsi, una via di mezzo tra Ciao, buon giorno, sorridi che è una bella giornata, tutto in una unica parola “BULA”, mentre quando si vuole ringraziare per un favore ricevuto o perché si lascia un luogo si dice VINAKA, un misto di grazie, è stato un piacere, arrivederci.
Il clima è più secco che in Polinesia, e divide in due la grande isola di Viti Levu, (250 km di diametro circa nel suo lato maggiore e 130 nell’altro); la parte ad est, dove c’è la capitale Suva, il clima è più umido, la vegetazione lussureggiante e pare che piova 365 giorni all’anno, almeno una volta al giorno, mentre la parte ovest, quella più turistica, non piove quasi mai, la vegetazione è adeguata al clima e predomina la canna da zucchero, che non ha tanto bisogno d’acqua, mentre le montagne sono più aride, senza però che manchino palme da cocco, alberi del pane, manghi e papaie.
Mentre le autorità ci visitano ancora, ci misurano la febbre, controllano che i cibi a bordo non siano inadeguati, che l’alcool sia assente, che non disponiamo di troppo denaro contante, riusciamo ad avere il timbro sul passaporto: entry by sea ed essere autorizzati a circolare con visto valido 4 mesi per la persona. Ariel invece otterrà un permesso di navigazione tra le isole solo una settimana più tardi, però valido per 18 mesi… strane regole Fijiane. Ma cominciano a piacere, e scopriremo giorno dopo giorno che il cuore delle Fiji è l’amore, l’amicizia, la condivisione, la gioia di vivere.
Questo uno dei motivi per cui decidiamo alla fine di lasciare Ariel, dato che lei può, e di tornare magari con altri amici, per condividere tutto questo. Un altro motivo è la estenuante lotta che un povero navigatore deve oggi sostenere con i vari governi per poterci muovere liberamente in tempo di Covid. Nonostante tamponi negativi e quarantene vissute in mezzo alle onde. Mi riferisco all’Australia, nostra meta finale di questo primo step del giro del mondo; se l’ARC avesse continuato ad esistere saremmo approdati a Brisbane e saremmo tornati a casa più o meno nello stesso periodo.
Ecco che il pensiero di raggiungere la meta iniziale si fa forte, ed iniziamo quindi le pratiche con l’ambasciata, con il delegato del Ministero degli Esteri a Canberra, e con il console Italiano alle Fiji e con la OCC.