Oceano Pacifico
Posizione 16°36′ sud 147° 43′ ovest
Oggi fortunatamente un pò di sereno dopo tanta pioggia.
Oceano che risente dei forti venti dei giorni scorsi e si sta rimescolando per trovare il suo assetto preferito con l’aliseo di ENE che dovrebbe essere già stabilizzato in questo periodo dell’anno, ma la meterologia sta vivendo un periodo di seria instabilità, proprio come disciplina, a rincorrere ed a cercare di capire dove porteranno i cambiamenti climatici.
Ma torniamo a noi, ad Ariel, ma soprattutto alla nuova flotta, le “tre caravelle”, ovvero Ariel, Milanto e Sea Lover, con bandiera rispettivamente Italiana, Samoa e Messico e gli equipaggi con differenti provenienze, Italia (Paolo, Cecilia, Valerio, Lorenzo,Luca), Spagna (Amancio), Gran Bretagna (Mark) e Messico (Daniel e olta David). Un bel gruppo con gli stessi obiettivi, ovvero di fare rotta uniti verso ovest sfruttando ogni riapertura, almeno fino alle Fiji, punto nevralgico del rientro, o forse fino in Australia, se apriranno i confini.
Si deve vivere l’organizzazione con una programmazione che non può andare oltre i 3/4 giorni, dati i cambiamenti inaspettati, sovente confusi e mai come te li saresti aspettati. Ad esempio sapevamo da fonti consolari che la navigazione in tutte le isole della Polinesia Francese si sarebbe liberata il 22 maggio, mentre altre fonti sostenevano il contrario, poi magicamente il 23 maggio è giunto ufficiale decreto che oltre ad allungare il nostro guinzaglio, apre le porte della riconquistata lbertà. Quindi prima tappa a Moorea, dove abbiamo potuto coglierne l’incontaminata bellezza aiutati dal fatto che non c’è turismo, tranne noi. Tutti i Resort ed Hotel pluristellati chiusi; quindi popolazione indigena, senza folle urlanti. Un’opportunità rara. Una settimana a Moorea è scivolata rapida, mentre il Maramu soffiava impetuoso, Ariel si polleggiava serena protetta dal reef. Queste isole vulcaniche, con caratteristiche diverse da un arcipelago all’altro, hanno però una costante: essere circondate da un reef, ovvero una barriera di corallo, che come uno scudo protegge le terre emerse dalla violenza dell’oceano. Da profondità di 3000/4000 metri si sale a 300 e poi a 30 e per finire a zero, dove il corallo per centinaia di metri cresce a livello del mare. La natura, ed a volte l’uomo, hanno provveduto ad interrompere questo reef formando le così dette “passe”, ovvero veri e propri varchi per consentire l’ingresso delle barche, non solo le nostre, ma di tutto il traffico locale, soprattutto per vivere, oltre che per turismo. Per entrare nelle passe, che fortunatamente sono ben segnalate, e per questo -chapeau- ai cugini d’oltralpe, bisogna rispettare alcune regole, semplici ma fondamentali. Mai entrare con il sole negli occhi, ma sempre alle spalle, quindi è gioco forza nella pianificazione del viaggio entrare al mattino se l’ingresso richiede rotta ovest e viceversa; poi bisogna tenere conto dei flussi di marea, per entrare nei momenti di “stanca”, ovvero quando il fiume d’acqua che entra ed esce dalle passe sia meno trubolento; al proposito portolani, app e programmi fatti da altri navigatori ci aiutano in questo, oltre alla cartografia elettronica che riscopriamo fedele, almeno fino ad ora.
Un componente del nostro gruppo, Amancio, “homo tecnologicus”, è dotato di tutta, ma quando dico tutta non ometto nulla, la cartografia digitale mondiale, comprese le mappe russe, giapponesi, inglesi, americane e non entro nel dettaglio perchè c’è da perdersi, ed a volte avere troppo non sempre aiuta, ma confonde. In ogni caso ora che siamo soli, senza supporti di rotte predefinite dalla ARC, il confronto e le analisi insieme delle possibilità sono momento piacevolissimo. A questo proposito dopo lunghe consultazioni, ed i più tecnici lo avranno capito dalla nostra longitudine attuale, abbiamo collegialmente deciso di tornare indietro per 250 miglia per visitare le isole Tuamotu, quasi le uniche rimaste sul pianeta, e le prime a scomparire con l’aumento previsto dei livelli degli oceani. Atolli senza montagne, infatti la montagna è sotto, e gli atolli sono le caldere dei vecchi vulcani, dove il corallo è cresciuto a dismisura, lasciando però lagune circondate da anelli di sabbia (non è sabbia, in realtà sono detriti di corallo macinato nei secoli dalla forza del mare) e palme. Infatti le Tuamotu sono famose perché si vedono sono quando ci si arriva, e si intuiscono i ciuffi delle palme più alte. Ci siamo passati il 22 marzo, quando ci obbligarono quasi a fare rotta diretta su Pepeete, impedendo ogni sosta, quando il terrore del Covid-19 paralizzò il mondo. Non si torna alle Tuamotu contro vento e corrente, pertanto abbiamo aspettato una finestra meteo buona ed eccoci qua, ancora in mezzo al pacifico, quando mancano circa 100 miglia all’arrivo a Fakarava, a detta di molti uno degli atolli più significativi, e soprattutto in una posizione per cui alla ripartenza, con vento a favore, ci consentirrebbe di visitarne altri. Le Tuamotu sono famose per gli allevamenti delle perle nere, e per la così detta madre perla, fiorente produzione negli anni 60 poi progressivamente decaduta dopo l’invasione della plastica, ma ora pare in ripresa, tanto che sia a Mahini come ad Ahe, due atolli che vorremmo vedere, sono in ripresa le coltivazioni e le inseminazioni delle ostriche da perla nera. Nel prossimo diario vi racconterò come funziona, dato che spero di vederlo in diretta.
Ora sono le 10,40 local time del 27 maggio e procediamo di bolina stretta, con un angolo al vento sorprendente di 24 gradi, con 15 nodi di vento reale, per tenere Ariel un po’ alla corda, rallentata ed in comfort, perché mancano 90 miglia all’arrivo e non possiamo permetterci di atterrare col buio. Risaliamo piano, ma comodi. Straordinario come nelle lunghe navigazioni si arrivi a trovare compromessi di navigazione a vela che mai avremmo concepito prima. Un esempio è il tridente, un altro è questa bolina sbagliata, con la barca impiccata, alla corda, ma con angolo al vento davvero sorprendente, ed uno sbandamento di 10 gradi ed una velocità di 5,7 nodi. Ad un allievo avrei detto… poggia! Non senti che la barca è frenata? Oggi invece navighiamo così. La bolina sbagliata.
a presto da Paolo & Ceci