Diario 24
20 giugno 2020
Ritorno a Papeete dopo il lockdown; Huahine e Raiatea
Lasciamo il sofferto ancoraggio di Fakarava dopo la violenta tempesta che ha lasciato due relitti ed altre con danni riparabili.
I locali hanno confermato che si è trattato di un evento ultra eccezionale, l’ultimo risale a 15 anni prima… ed hanno parlato di un particolare fenomeno associato al Maramu, il temuto, rabbioso ed imprevedibile vento da sud ovest, da assimilarsi ad una tromba marina. Non scappiamo, ma dobbiamo tornare a Papeete ed approfittiamo del vento favorevole per ripercorrere le 160 miglia verso “casa”. Scegliamo il pomeriggio per uscire dalla passe con corrente a favore e per navigare piano, dato che dovremo arrivare al mattino presto nella passe di Papeete nord. Questi calcoli sono necessari quando ci si trasferisce tra isole con il reef; entrata e uscita dalle passe hanno regole da rispettare, e la navigazione viene aggiustata di conseguenza. Quindi due notti ed una giornata di danza oceanica, lenta perché dobbiamo tenere una media di 5,5/ 6 nodi per non arrivare col buio, quindi no stress e tanto relax perché il vento è debole, ma sufficiente a spingerci con vele bianche al ritmo richiesto, oltretutto questo passaggio cade proprio il 7 giugno, mio compleanno, che festeggiamo con la classica pizza della Ceci ed un rosè de Provence. Milanto ci segue ed entriamo appaiati alle 8 del lunedì 8 giugno nel marina di Papeete, che avevamo scartato in periodo di lock down, ma che scegliamo ora che tutto è riaperto e vicino (il marina è a 3 minuti a piedi dal centro) ed ogni facilitazione per i lavori che dobbiamo fare. Il Marina è nuovo, accogliente, pulito e sicuro, dotato di finger (pontiletti tra una barca e l’altra) che consentono l’ormeggio agevole di prua e la discesa a lato della barca, favorendo quindi il lavoro dei nostri operai. Le segnalazioni dei portolani, e di amici passati un paio d’anni fa, descrivono questo luogo come poco sicuro e scomodo per il traffico incessante di Papeete. Sarà che lo hanno rifatto praticamente nuovo, e sarà che il Covid ha azzerato il turismo, per cui riusciamo invece ad apprezzarne la piacevole vicinanza alla vita di una cittadina colorata, sorridente e felice di vedere ancora persone sedute a bersi un caffè, e le immagini che abbiamo registrato nella mente durante il confinamento dove tutto era un triste deserto si cancellano subito. Papeete è luogo dove la street art, ovvero dove molti artisti hanno potuto esprimersi decorando facciate di edifici, prima grigie ed anonime, tanto da diventare sede del Festival Internazionale d’arte urbana contemporanea Ono’u dal 2014.
Alle 9 arrivano i primi esperti per il lavoro da fare, l’acciaista, il falegname, il resinatore, l’elettricista, tutti giovanissimi talentuosi ragazzi, artigiani veri, per lo più in giro per il mondo con la propria barca ed il proprio talento, e chi trasferito dalla Francia o chi autoctono, ma autonomo e libero. Una scoperta ed un grande piacere vedere tanta buona volontà e devo dire alta professionalità. In 3 giorni tutto è riparato egregiamente, ed anzi, approfitto dell’elettricista per liberarmi dell’ultima batteria della sfortunata serie Zenith “long life” e ripristinare definitivamente con due nuove Victron anche il parco 12 volt e la ventola di raffreddamento della sala macchine, in pensione da un paio di mesi, ma introvabile altrove.
I tempi morti che ogni lavoro artigianale porta con sé l’abbiamo speso passeggiando per le strade vivaci ma non affollate, scoprendo un antico negozio di dischi di vinile che Lorenzo di Milanto ha ben descritto nel suo blog, cui rimando, (clicca qui), così come la Pizzeria Italia, che però di Italiano ha solo il nome, e per questo continua ad attirare clienti, proponendo però, d’Italia vestite, pizze surgelate di nota ditta del sud est asiatico. Miracoli della globalizzazione.
Prossima meta Huahine, prima perla delle isole di sottovento, che comprende Raiatea, Tahaa, Bora Bora e la piccola Maupiti. Il programma di navigazione prevede di visitarle tutte, anche perché per ora non possiamo lasciare la Polinesia Francese per l’ovest, difficilmente potremo raggiungere l’Australia come era nel progetto iniziale, e dobbiamo adattarci alle decisioni dei vari governi, indecisi e comprensibilmente confusi per la gestione dei trasferimenti internazionali in questo momento “covid” o meglio post-covid. Quindi non possiamo fare progetti se non all’interno delle Isole della Società, poi vedremo. Quindi prima tappa Huahine, 90 miglia che percorriamo di notte, per arrivare sempre al mattino nella passe nord, la più facile dell’isola, dove c’è la capitale, Fare. Partenza da Papeete alle ore 17, ed ospite su Ariel l’amico Lorenzo Cipriani, storico dell’arte, musicista e scrittore, che non vede l’ora di navigare con un HR. Purtroppo manca il vento e siamo costretti ad avanzare a motore in un oceano irregolare con residui ondosi della precedente burrasca e con la swell esattamente al nostro traverso. Ma Ariel ha fatto del suo meglio ed all’alba ci ha accolto Huahine, meno famosa delle vicine sorelle, ma ugualmente da scoprire. La caratteristica geografica è particolare, con fiordi profondi e relative lagune salmastre, sebbene sempre circondata da un reef abbondante che la protegge dalla maestosità dell’oceano. La passe nord si apre su Fare, ma decidiamo di procedere per sud, costeggiando la parte interna del reef ed il verde acceso di una vegetazione pazzesca. L’ancoraggio a sud è sicuro e contornato da una delle poche spiagge coralline bianche, dove ha fatto il nodo il solito resort, fortunatamente chiuso, restituendo al paesaggio la primitiva bellezza, conferendo tuttavia un fondo triste, quasi di abbandono. All’ancora siamo in 6 barche. In periodi di normale turismo con i 100 catamarani della Dream Yacht o della Moorings in questa baia ne contano almeno 40 o 50 nei week end. Qui infatti c’è Chez Tara, il più famoso ristorante di Huahine, tutto polinesiano, che il sabato o la domenica, a seconda dei periodi propongono in una unica grande sala in legno e bambù con i tetti di foglie di laudano un buffet di cibo tradizionale. Arriviamo di domenica, ma scopriamo che nonostante sia aperto, perché a conduzione familiare, offre solo pochi piatti a base di tonno, che qui è come il salame da noi in Emilia. Pane, Parmigiano-Reggiano, prosciutto e salame a Parma. Tonno crudo, alla griglia, salsa di cocco, banane ed ananas a Huahine.
Lasciamo l’ancoraggio il lunedì mattina dopo aver nuotato di fianco ad una manta alla volta di Fare, per scoprire il villaggio e per noleggiare auto o bici elettriche per entrare nel cuore dell’isola. Abbiamo scoperto questa modalità della e-bike a Moorea ed a Fakarava, ed è un must di queste isole, relativamente piccole da percorrersi pedalando con assistenza elettrica, ed efficace per accontentare molti turisti. Ora ci siamo solo noi, si spuntano prezzi super agevolati e non c’è mai coda. C’è tutto subito. Ceci, Paolo, Amancio e Mark i ciclisti, Valerio e Lorenzo più verso l’auto. Il periplo è di una sessantina di km che percorriamo in una giornata facendo sosta negli angoli più suggestivi, scoprendo la pizzeria di un italiano del Nord Est, trapiantato qui da alcuni anni, ma per nulla simpatico, come la Art Gallerie di Melanie, una francese del periodo sessantottino, pittrice, sola con gatti e cani, che strappa un acquisto di una litografia numerata di questi spazi. Gli abitanti di Huahine sono però poco ospitali a differenza di altre realtà, hanno paura, sono diffidenti verso noi naviganti. Hanno notizie televisive che spaventano, per cui ci trattano noi venuti dal mare come possibili portatori del mostro. Li capiamo, il loro equilibrio dopo il consolidamento di un turismo probabilmente soffocante si è rotto, e sono confusi. Resort ed hotel chiusi, voli sospesi, e quei pochi naviganti… mah, e si rifugiano nella onnipresente coca cola, divorando cibi occidentali della peggior specie, come in un disegno lungimirante di annientare un popolo. Osserviamo caratteri comuni ed opposti in queste isole testimoniati dalla convivenza di più generazioni, che sono state troppo esposte alla violenza della globalizzazione. In 50 anni il paese è devastato. Gli anziani che erano bambini 50 anni fa resistono, magri, sdentati, ma elastici, ancora tonici e vanno a pesca, come mezzo secolo fa; i loro figli sono per la gran parte obesi, agganciati perennemente ad uno smartphone, ad inventarsi attività che possano garantire una sussistenza, ed i nipoti, ahimè, tutti obesi. La Francia interviene con campagne che promuovono il danno alla salute degli zuccheri, poi fanno scaricare bancali di prodotti Nestlè. La iperglicemia, mi spiegava un medico locale, è il flagello della Polinesia. Il Diabete è presente in oltre il 60% della popolazione, ma quello che sconvolge è l’incremento negli ultimi 30 anni, oltre al 500%. Mentre i francesi che vengono qui, stranamente restano magri, occupano via via posti di comando e cruciali per la gestione economica ed amministrativa, e prima o poi resteranno gli unici veri proprietari del paradiso delle isole dei mari del sud. E’ solo questione di tempo.
E noi tra gli ultimi ad entrare nei pochi spazi di autenticità di questa gente e di queste terre, soli e confusi, come il corallo, che da solo aveva smesso di crescere, invecchiando fino a morire senza riprodursi, come una risposta naturale alla invasione incontrollata. Il costo della vita è insostenibile ai livelli cui siamo abituati noi, per cui ai francesi che lavorano qui lo stato raddoppia lo stipendio, ed i locali diventano obbligatoriamente l’esempio vivente dello schiavismo moderno. Sono lontani i tempi in cui il governatore di Huahine riuniva i capi tribù nel “palazzo” – Marae – col pavimento di canna di bambù, appoggiato su palafitte in una laguna, ora unico museo testimone di una storia millenaria che smartphone, patatine, coca cola e tanta birra stanno seppellendo. L’aspetto però più affascinante è l’anima di questi popoli, che trascende un corpo devastato. Un’anima che porta il sorriso, ed il desiderio mantenere vivo il loro giardino. Le isole, non le case, sono giardini, puliti, ordinati, dove i guard rail sono siepi colorate; per loro vivere nella bellezza di una natura generosa è indispensabile. Qui riscopriamo le tombe dei loro cari nei giardini, come vedremo numerosissime anche a Raiatea, per tenere vicina la continuità tra passato e presente. Il futuro per un polinesiano non esiste, storicamente, vivono il giorno, la luce, il sole e la pioggia (molto frequente peraltro); la notte è viva solo se illuminata dalla luna, e solo vivibile in alcune feste, qualche volta il sabato, per i più giovani, ma mai oltre le 23.
Ora, senza il turismo, il ritmo della vita è tornato quello di molti anni fa, lento e scandito solo dalla luce. Dalle 6 alle 18, poi la cena e poi il riposo.
Domani partiamo all’alba per Raiatea, la più attrezzata isola dopo Tahiti, diciamo più urbana, ma vedremo. La distanza è ridicola, sono 25 miglia, ma preferiamo arrivare presto per avere la giornata per organizzare la scoperta. È definita l’isola sacra, e lo scopriremo il perché nel prossimo diario.