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World Arc, coronavirus e la nostra odissea

Postato su 24 Marzo 2020 da Paolo Casoni

da la Stampa, 22 marzo 17,30

E così, come si temeva, la grande avventura dell’attraversata del Pacifico si è trasformata in un’odissea. Un’avventura maggiore, direte. Non è così.

Di fronte ai confusi, contraddittori, drammaticamente incalzanti diktat delle autorità polinesiane legittimamente preoccupate di veder sbarcare sulle loro belle isole il Coronavirus, Ariel e il suo equipaggio hanno scelto di lasciare a dritta le isole Marchesi e Nuku Hiva, originari obiettivi, e continuare la navigazione di altre mille miglia verso Tahiti e Papee’te, il centro più grande ed attrezzato  delle Isole della Società e dove c’è l’aeroporto internazionale.
Una scelta obbligata e sollecitata dalle autorità polinesiane secondo quanto ci ha riferito l’organizzazione della World Arc , anch’essa colta di sorpresa da  quanto si è abbattuto sulla regata che organizzano da anni.

In parole povere, i polinesiani non vogliono stranieri sulle loro isole. Certo, non possono negare a equipaggi che hanno alle spalle tre settimane di navigazione, senza cambusa e con gasolio agli sgoccioli, un attracco. Ma questo attracco sarà uno e uno solo. Poi via, fuori dai confini. E quell’unico attracco deve essere Papee’te dove, secondo i boatos che circolano fra i satellitari e le radio della trentina di barche sparse nel Pacifico meridionale, potrebbero essere non diciamo sequestrate ma quasi, se gli equipaggi fossero obbligati a tornare nei propri paesi d’origine in aereo (con quali voli, visto che sono stati tutti annullati, non si sa).
Ariel e poche altre barche hanno scelto questa strada, non perché convinti ma perché obbligati. Casualmente, vale a dire da una telefonata satellitare dall’Italia, e non dall’Arc o dalle autorità polinesiane, l’equipaggio di Paolo Casoni ha saputo del blocco dei voli interni, quegli stessi voli che chi scrive e Maurizio Miele, un altro membro dell’equipaggio guidato dal chirurgo vascolare di Parma, avrebbe dovuto prendere il 28 marzo per raggiungere Papee’te e imbarcarsi su un volo Air France per l’Europa.

La rotta è stata quindi subito rivolta verso Tahiti, distante altre mille miglia, dove Ariel conta di attraccare giovedì. L’ha potuto fare perché la barca è super attrezzata e ha gasolio sufficiente – usandolo con molta parsimonia – per raggiungere Papee’te se il vento dovesse calare come le previsioni del tempo lasciano intendere. Quelle stesse previsioni che annunciano groppi, piovaschi violenti ed improvvisi come quello che si è abbattuto sulla imbarcazione, con raffiche di vento fino a 45 nodi,  subito dopo la decisione di continuare verso Tahiti.

Ciò detto, in cambusa sono rimaste 12 uova, la verdura è finita, lo scatolame non è un gran mangiare e l’acqua del dissalatore obbliga ognuno ad assumere sali minerali.

Per le altre barche, la maggioranza della trentina salpate a inizio marzo dalle Galapagos, tutte assillate dalla penuria di gasolio se non da avarie vere e proprie, è stata una scelta obbligata puntare invece su Nuku Hiva. Le prime sono arrivate oggi (domenica 22) e la sorpresa è stata amara.

Ormeggiati all’ancora, nessuno è potuto scendere a terra e solo domattina potranno svolgere le pratiche di ingresso. A tutti è stato comunicato che solo un membro dell’equipaggio potrà sbarcarsi per i  rifornimenti della cambusa nei pochi negozietti aperti e, essendo vietato l’attracco in banchina, anche il pieno di gasolio  potrà avvenire solo con un andirivieni di taniche. Dei circa 3 mila isolani se ne vedono ben pochi, sono tutti chiusi in casa.

Cosa potranno fare gli equipaggi dopo che avranno ripristinato le scorte  non si sa: se è concesso un solo attracco, dove potranno andare? Tutti gli altri arcipelaghi hanno chiuso le frontiere così come l’Australia e la Nuova Zelanda. Gli equipaggi americani teorizzano di puntare sulle Hawaii che però sono a 2500 miglia e con un mare molto impegnativo. Secondo le norme imposte dai polinesiani, tutti dovrebbero lasciare la barca all’ancora e tornare in patria – con quali voli non è dato sapere visto che dovrebbero essere organizzati ad hoc – per poi tornare chissà quando a riprendere il vascello in chissà quali condizioni e sempre che ci sia ancora.

La stessa realtà nella quale si troverà Ariel giovedì quando si prevede atterrerà a Papee’te. Con l’unica differenza che se dovesse lasciare l’imbarcazione, capitan Casoni avrebbe a disposizione più cantieri per ricoverare l’Hallberg Rassy 53. Una soluzione comunque non facile da adottare. Le alternative sono tutte impegnative e hanno come denominatore comune lasciare Tahiti e percorrere più mare possibile per ricoverare la barca in un posto più sicuro di Papee’te e tornare il prossimo anno o comunque dopo la stagione dei cicloni.

Australia e Nuova Zelanda sembrano le mete più quotate ma bisogna superare il blocco imposto da quei governi. Cosa teoricamente possibile se la situazione sanitaria di Ariel rimanesse l’attuale, cioè immune dal Coronavirus  visto che da tre settimane è sostanzialmente in quarantena in mare. Ma se a Papee’te l’equipaggio scende a terra si perde lo status di coronavirus free.

Non entusiasmante neanche il destino di chi a Papee’te  sbarcherà per essere rimpatriato: quando ci sarà l’aereo per tornare a casa? E una volta in Italia pare dovremo sottoporci alla quarantena.

Giuseppe Minello

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