Diario 25
6 luglio 2020
Oceano Pacifico
posizione 16° 26′ Sud 151°58′ Ovest
In rotta verso Suwarrow per poi portarsi alle Fiji passando a sud di Samoa. Questa la rotta studiata a tavolino: un promontorio di alta pressione, si porta a nord, schiacciato da due violente basse pressioni ad est della Nuova Zelanda, pertanto in rotta diretta si prevede un f7, più a nord dovrebbe calare di una forza, con onda più gestibile. Quindi qualche miglio in più ma maggior comfort e sicurezza, soprattutto per gli amici di Sea Lover, con poca esperienza oceanica.
Abbiamo ripreso il grande mare, questa volta per una lunga traversata fino alle isole Fiji, distanti circa 1800 miglia, un paio di settimane andando piano, ovvero il tempo di una quarantena.
Ottenere i permessi di uscita dalla French Polynesia unitamente a quelli di entrata alle Fiji, il tutto condito con un covid test (tampone) recente e negativo, non è stato impossibile, ma nemmeno semplice. Ci siamo affidati ad una agenzia per le Fiji che ci ha guidato nel percorso (14 pagine di richieste e delucidazioni su ogni dettaglio dalla barca, alla cambusa, ai fatti personali); il primo ministro ha deciso di aprire agli yacht in transito ma una commissione deve valutare caso per caso. Promossi.
L’uscita dalla FP si è rivelata più semplice formalmente, nonostante il nostro agente, ed i capi dell’ARC insistessero sul fatto che solo con un rientro a Tahiti sarebbe stato possibile formalizzare l’uscita (150 miglia contro vento, corrente e onda). Incredibile che una organizzazione che gestisce passaggi oceanici di centinaia di barche negli anni sia scivolata molto in basso nella gestione in una situazione insolita come questa, di fatto dimostrando di preferire gli interessi personali di business rispetto ad intervenire aiutando noi iscritti al Rally. Una gestione che all’unanimità ogni equipaggio ancora a zonzo per gli atolli ha ritenuto inaccettabile e che a tempo opportuno verrà segnalata alla stampa internazionale. In ogni caso, nonostante i divieti imposti dall’ARC, siamo riusciti a fare il covid test a Raiatea, presso il consultorio, guidati da un gentile collega francese (non so quanto essere medico abbia influito sull’organizzazione), ma sta di fatto che in 9 abbiamo eseguito il test, all’aperto, all’ombra di un Frangipane; siamo poi riusciti ad ottenere il visto di uscita per barche ed equipaggi, mentre non c’è stato verso di completare l’immigration form, solitamente ed agevolmente gestita dalle gendarmerie locali (questo da anni), ma ora non più. Quindi partiamo senza, perché di fatto ciò che serve è il famoso “Zarpa” o “Clearance out” che abbiamo stampato e primeggia tra i documenti che presenteremo all’arrivo.
È difficile scrivere i diari in sosta all’ancora nei vari atolli perché si è presi dal desiderio di scoperta, soprattutto invogliati dalla assenza di turismo. Raiatea è la seconda isola più importante dopo Tahiti, e sembra più civilizzata delle altre, o almeno così dicono. Ci sono due marina, purtroppo inaccessibili per il fatto che i catamarani charter solitamente a zonzo per gli atolli sono abbandonati in banchina, e non c’è possibilità per quei pochi naviganti come noi. Ancora vicino al “carenage”, un cantiere dove molti lasciano la barca per lavori, sebbene in piena zona ciclonica. A noi viene comodo per la facilità di ormeggio al pontiletto dei tender, dentro il porticciolo, per la discesa a terra. Anche qui come a Huahine e come faremo a Tahaa si va alla ricerca del noleggio biciclette ed automobile, per garantirsi spostamenti agevoli verso il centro della cittadina, sede di ogni comfort (si fa per dire). Raiatea è l’isola sacra per eccellenza, nel senso che da sempre ha accolto in un luogo definito sacro, il “taputapuatea”, che si chiama Marae, dove pietre vulcaniche riposano al sole a definire gli altari di consacrazione di quello che dovevano diventare i futuri capi degli atolli di tutte le isole degli arcipelaghi. Annualmente, o forse ogni due o tre anni a seconda delle necessità, tutti i capi tribù, dalle Tuamotu, dalle Marchesi, da Tahiti, percorrevano con i loro catamarani a due alberi lunghe distanze e venivano accolti presso la spiaggia sacra in prossimità del tempio. A taputapuatea si compivano i sacrifici di animali o anche umani a volte, per ottenere la “autorizzazione divina”; si dice che ogni tempio (Marae) di ogni isola contenga una pietra del Taputapuatea. Dobbiamo però riconoscere che l’aria è densa di storia e si percepisce una energia molto forte; sarà suggestione, ma quando inforchiamo la nostra e-bike per proseguire nei 100 km del periplo dell’isola ci sentiamo più vicini ai veri polinesiani, ora purtroppo ridotti ad ammassi di grasso al soldo dei francesi o di altri imprenditori, perlopiù europei. Ma lasciamo da parte questa tristissima analisi della attualità polinesiana e rimaniamo nell’onda di questa aura magica che Raiatea continua ad esercitare. Il periplo dell’isola è mozzafiato soprattutto nella parte sud, praticamente disabitata o quasi. Un giardino che pure selvaggio non ha nulla ad invidiare a quello vero, quello Botanico, uno tra i più famosi della Polinesia, organizzato impeccabilmente, che visitiamo prima a piedi e successivamente in canoa, percorrendo con una guida il fiume navigabile per 4 o 5 miglia durante un’altra meravigliosa escursione nel cuore della “giungla” di Raiatea. Ora sono chiamato a manovrare. Alla prossima pagina il seguito.
Paolo & Ariel Crew