Santa Cruz – Isla Floreana – Galapagos – Ecuador
23 febbraio – 4 marzo 2020
La giornata di trasferimento da San Cristobal a Santa Cruz ha di particolare la pioggia, che sebbene calda scende da un cielo grigio, più padano che Galapaguegno, e smorza i colori. L’arrivo a Santa Cruz però lascia trasparire qualche isola di azzurro, benaugurante dato che, in assenza di porto o marina o qualsivoglia pontile dove appoggiare Ariel, dovremo vivere all’ancora fino alla ripartenza prevista per il 4 marzo. Vivere in rada ha vantaggi enormi per il silenzio, la pace e la calura mitigata del vento costante, però ha svantaggi legati alla discesa a terra, obbligata con il servizio water taxi, dal non sempre favorevole moto ondoso, che sovente entra nella baia innescando un rollìo scomodo e persisitente e dal fatto che per energia e produzione di acqua dolce ci comportiamo come in navigazione. Fortunatamente le acque della baia sono cristalline e turchesi, ricchissime di plancton e di una miriade di pesci. Meno frequenti i leoni marini perchè Santa Cruz è la capitale, ed il turismo, tutto, parte da qui, quindi più umani e meno leoni, viceversa sott’acqua mante, iguana e tartarughe di mare che sfilano al fianco di Ariel, abituate al traffico persistente dei water taxi e delle barche locali.
Con noi restano Marco e Marianna fino al 26, poi arriveranno Maurizio e Beppe domenica 1 marzo. La sosta è lunga e ci permette di pianificare con calma la visita all’isola ed eventuali escursioni ad altre meno abitate dell’arcipelago. Alla fine avere il tempo per poter rallentare il ritmo è piacevole; la vera slow holyday. Il ritmo di San Cristobal, e l’equilibrio che ci aveva stregato qui si è perduto per l’invasione, sebbene controllata, ma è sempre una invasione, di un turismo in costante aumento, il che ha generato e continua a generare il fiorire di agenzie che propongono ogni tipo di tour in terra o in mare, ed il consueto dilagare di piccoli negozi dei souvenir. Ciò che una mente si immagina al nominare Galapagos è molto più simile a ciò che abbiamo respirato a San Cristobal rispetto alla capitale, ma è sufficiente addentrarsi per l’interno o verso la costa inesplorata per ritrovare l’abbraccio forte della natura. Un percorso consigliato dalla immancabile Lonely Planet prevede di noleggiare una bicicletta, di caricarla sul Pick up Toyota taxi, e di farsi portare a nord, sull’unico monte dell’isola, in una delle uniche due strade, per raggiungere Los Gemelos, due crateri non vulcanici ora tappezzati di una vegetazione millenaria, rigogliosa ed intricata di varietà autoctone da assimilarsi un giardino botanico naturale. Prima di raggiungere la vetta si fa sosta a “El Chato”, un ranch privato, di un belga trasferitosi alle Galapagos 45 anni fa, ora naturista, ora pittore, ed ora scultore, ma soprattutto amante delle tartarughe di terra, tanto da tenerne in assoluta libertà più di un centinaio. È suggestivo passeggiare per la tenuta incontrandole libere e non “gestite” dal parco. Ed ora in sella alla nostra bici scendiamo a valle per una corsa in mezzo al nulla di 30 km, mentre assaporiamo le bizzarrie del clima locale; da quasi dentro le nubi, sotto la pioggia, ed al sole dell’equatore, bruciante, quando si arriva al mare. L’isola si esplora così, un po’ in bici, molto a piedi ed anche con un taxi, per farsi portare alla Galapaguera, una spiaggia selvaggia dove iguane, granchi, aironi, pellicani ed altri volatili ne spartiscono angoli ed infinito.
A Puerto Ayora, capitale di Santa Cruz, c’è il famoso Laboratorio dedicato a Charles Darwin, e sede centrale del parco delle Galapagos, zona di ripopolamento della tartaruga gigante di terra, da cui infatti il nome “Galàpagos”, ovvero sella in spagnolo, che ricorda una parte del carapace; di nidificazione delle tartarughe di mare e dei diffidenti iguana, ma anche giardino botanico che raccoglie in un percorso tutte le specie vegetali delle isole.
Scopriamo strada facendo dalle parole di Peter, un ristoratore autoctono, ovvero nato a Santa Cruz, ma con sangue svizzero, che tutto ciò che è parco è regolato bene e funziona, mentre tutto ciò che è extra parco, ovvero affidato alla politica ecuadoriana, è affidato in realtà al caso ed alla corruzione del momento. Il rovescio della medaglia infatti è che dall’altra parte del paradiso terrestre, pare che queste isole siano il centro di smistamento di gran parte della cocaina del sud America. Faccio fatica a crederlo, anche per una qustione puramente logistica, e voglio dimenticarlo, perché mi restino nel cuore il passo sincopato dell’iguana e lo sguardo dolcissimo dei leoni marini. Il lavoro degli uomini del parco delle Galapagos è grandioso; da un punto di partenza devastante, ovvero il rischio di estinzione di alcune specie delle tartarughe; famosa è la storia del Solitario George – per i curiosi un giro sul web vi aiuterà meglio a comprendere che, rimasto unico esemplare dal collo lungo dell’isola Floreana, che cercarono di fare accoppiare con altre femmine di diversa specie, ma almeno per garantire la continuazione genetica, tutto fu inutile perché specie ibride (sono 11 diverse in tutto l’arcipelago) non creano sempre la fecondazione dell’uovo. Così è che il Solitario George morì nel 2012 a 150 anni di età, ed ora è imbalsamato in una vetrina a temperatura controllata, a immagine di una icona perenne. Consigliati da Peter ed affascinati da una storia thriller degli anni 30 che vide scomparire alcune persone venute dall’Europa per vivere una libertà assoluta sull’isola Floreana, senza che fu mai trovato un responsabile, ma che a tutt’oggi non appena si affronti l’argomento con le guide o con i locali, in una sorta di velato imbarazzo, ognuno punta a cambiare discorso, come se il mistero irrisolto, al solo parlarne, potesse risvegliare strani magici poteri. (anche in questo caso i curiosi possono trovare ristoro sul web, dove si può accedere anche ad alcuni spezzoni di video originali, la storia della Baronessa e del tedesco Wittmeier). Fatto è che a tutt’oggi l’isola Floreana è l’unica dove vivono come 50 anni fa, solo 130 persone stanziali e periodicamente salgono a 160 più 30 studenti di varie discipline biologiche che si alternano per periodi di ricerca. Le imbarcazioni locali che trasportano i turisti sono spartani gusci in vetroresina spinti da potenti motori, dove salgono fino a 25 persone, in percorsi di 2/3 ore che diventano pura sofferenza e non piacere. Apprezziamo però la piacevole camminata all’interno di Floreana, ed il cibo di un anziano signore, proprietario di una delle tre taverne/case, dove ci fermiamo per pranzo. Luoghi lontani, improbabili, silenziosi e unici.
Il 2 marzo arriva velocemente, ed al pomeriggio inziano le danze della World Arc, con Briefing skipper per la prossima tratta verso le Marchesi, aperitivo e premiazione della leg 3 (da Las Perlas alle Galàpagos) dove per la terza volta, “again, again and again” come dice Andrew, Ariel è prima! E cena tutti insieme al ristorante il Giardino, ovviamente gestito da un italiano. La premiazione non prevede targhe o bottiglie di rum, troppo care in questi luoghi, ma una poesia, scritta dal poeta della World Arc, lo skipper d Domini, che simpaticamente rimeggia FAST (veloce) con la nostra PAST (pasta italiana). Il 3 giornata dedicata agli ultimissimi preparativi e soprattutto alle pratiche doganali, rese semplici dalla organizzazione ed il 4 marzo, mercoledì, alle ore 12, local time, salpiamo per la tratta più lunga, l’attraversata di parte dell’Oceano Pacifico, la più lunga sul pianeta senza incontrare terra, di 3.000 miglia, (quasi 6.000 km), fino alle isole Marchesi.
Una bella partenza a vela, con poco vento, ma sufficiente a far correre Ariel prima a vele bianche e poi con code zero fino al crollo del vento, ed ora, verso il tramonto un pò oscurato da pesanti nubi grigie, procediamo spinti dal nostro fedele Oliver, dopo le amorevoli cure con l’aiuto di Jaume per lo smaltimento dell’olio usato che preferiamo sostitutire vista la lunga rotta che ci attende.
A presto dal team di Ariel