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L’Oceano Pacifico, la pioggia, l’umidità… e il vento

Postato su 9 Marzo 2020 da Paolo Casoni

DOMENICA 8 MARZO 2020

Oceano Pacifico
Quarto giorno di mare
Posizione 04°46′ SUD  099°04′ OVEST
MIglia percorse dalle Galapagos 581 mancanti a Hiva Oa 2380

Cielo nuvoloso, troppo nuvoloso.
Piogge persistenti negli ultimi 2 giorni
Vento scarso di direzione variabile, capriccioso, mai nervoso ma irregolare che ci ha costretto a frequenti cambi di vele, insolito per una navigazione oceanica.
Questi sono i DOLDRUMS, ovvero quella fascia sopra e sotto equatoriale, che si estende variabilmente dai 4/5  gradi di latitudine  nord fino ai 4/5 latitudine sud. Le Galapagos sono appena sotto l’equatore, in pieno regime delle così dette “calme equatoriali”, o Doldrums, così odiate dai velisti oceanici proprio per le caratteristiche metereologiche che stiamo vivendo in questo primo tratto. Questa zona, definita in gergo tecnico ITCZ (Inter Tropical Convergence Zone)non è sempre allo stesso posto sulla carta, non è una linea fissa, ma si sposta a seconda delle gradi masse d’aria che governano i venti dominanti del pianeta, subendo variazioni di qualche grado. Secondo la nota legge di Murphy, la ITCZ da alta sopra l’equatore (che alle prime previsioni di traversata ci avrebbe risparmiato tanta tribolazione), si è abbassata nei giorni prima la partenza, regalandoci un progressivo spegnersi dei venti ed infittirsi della coltre nuvolosa.

In realtà le partenze per le traversate oceaniche non dovrebbero avere una data fissa, ma essere regolate solo ed esclusivamente dallo studio della metereologia. Tra tanti pregi, questo l’unico vero difetto dei rally tipo la World ARC; devi partire il 4 marzo alle 12, mentre uno skipper attento sarebbe dovuto partire il 2 marzo. Anche 24 ore possono fare la differenza in oceano, tra essere nel fiume di vento da subito, o doverlo inseguire perchè ti è scappato. La differenza è abissale. E’ vero che la partenza è sempre un momento intrigante e avvincente, ma di fronte poi a tre o quattro giorni di penitenza, non so se il gioco vale la fatica. Vero è che se fossimo partiti prima (possibile, motivando la scelta agli organizzatori), saremmo usciti dalle classifiche del rally ed ogni senso competitivo si sarebbe spento, nel senso che avremmo navigato da soli, 48 ore davanti a tutti, senza nessuno poi ad attenderci all’arrivo. Ma l’ottimismo è il nostro pane, quindi è anche interessante scoprire cosa si prova a navigare in piena ITCZ. Un po’ come andare in bicicletta in una pianura infinita, con un p0′ di nebbiolina, un cielo grigio tutto uguale, con scrosci di pioggia violenti alternati ad una pioggerella fitta che penetra ovunque, tipo a novembre, ma con 30 gradi.

Il grado di umidità ha superato le soglie di umana sopportazione. Fortunatamente Ariel è una casa asciutta ed accogliente, con i ventilatori che aiutano, ma muovono aria calda e umida perchè siamo costretti a tenere ogni oblò chiuso e dalle prese a vento, mancando il vento, non entra nulla. Il pozzetto è fortunatamente stato allestito prevedendo situazioni piovose durante il giro, pertanto ci permette di osservare e respirare senza bagnarci, anche se per sfruttare ogni alito che l’oceano ci regala, per fare correre Ariel non solo col motore, siamo costretti a frequenti e bagnati cambi di vele, tra Gennaker, Code Zero e Genoa tangonato. Ma così è la vita del marinaio e la prendiamo col sorriso, mentre il Pacifico post Galapagos ci regala i primi due tonni dalla carne rossa, ed un Mahi Mahi, che date le piccole dimensioni restituiamo al mare.

Quindi non stiamo poi malissimo… pranzi e cene da Gourmet, con sempre un buon vino bianco ed uno rosso, dallo Chardonnay Argentino al Malbec cileno a soddisfare anche i palati più esigenti, e non manca mai sulla tavola di Ariel una fetta di prosciutto di Parma od una scaglia di Parmigiano Reggiano. Panifichiamo regolarmente a giorni alterni sperimentando varie ricette ed ogni domenica facciamo la pizza, e devo dire che in questo stiamo raggiungendo livelli molto alti, nonostante la materia prima in tema di mozzarella non sia prorpio pari a quella Campana di bufala, ma la Ceci ha capito e sa come correggere e modificare. Oggi è domenica.

E cosa incontreremo una volta superata la ITCZ? Siamo nell’emisfero sud, dove tutto è ribaltato; i venti dominanti sono generati sempre dalle alte pressioni, solo che nel “nord” la circolazione è in senso orario, pertanto nascono gli alisei di Nord Est, nel “sud” l circolazione anti-ciclonica è in senso anti-orario, pertanto nascono gli Alisei di Sud est, proprio quelli che andiamo a cercare al di sotto dei 5 gradi di latitudine. Zitti zitti che forse ci siamo. Da stanotte quando improvvisamente si è tranciata la scotta del genoatangonato (per usura in un punto preciso), mentre provvedevamo alla riparazione con l’amico Maurizio abbiamo percepito un’aria diversa, meno umida, mentre la pioggia aveva cessato, come quando dopo il temporale avverti un’aria più fresca, ma è notte e nonostante la luna crescente il cielo è ancora nuvoloso, ma qualcosa mi dice che forse oggi ci siamo.

Ora abbiamo 13-14 nodi da sud est, costanti da 3 ore, e voliamo a 8,5 nodi compreso l’aiutino della corrente equatoriale (fissa da 1 a 2 nodi da est a ovest per tutto il percorso). Lo dico piano, ma penso, o forse lo spero tanto, che 5° parallelo sud stiamo entrando nel fiume dell’aliseo che dovrebbe portarci fino a Hiva Oa, alle Isole Marchesi, territorio francese d’oltremare, e meglio consciuta come il primo gruppo di isole appartenenti ad un più vasto numero di territori,  frammenti di terra in mezzo all’oceano Pacifico, che insieme alle Tuamotu, a Thaiti, a Mo’orea, Maupiti, Bora Bora, Huaine e Ra’iatea, per citare le principali che abbiamo in cuore di visitare, costituiscono la così detta Polinesia Francese. Le prime che incontreremo sulla nostra rotta per l’Australia sono proprio le Marchesi, maestose ed alte sul mare, prive di atolli corallini, ma con l’entroterra più suggestivo ed affascinante,  tra le prime ad essere colonizzate nel corso delle grandi migrazioni nel pacifico Meridionale, dall’epoca preistorica fino all’anno 1000 dc. , ma erano solo polinesiani, o Hawaiani, o Maori. Perchè venissero portate alla conoscenza di tutti si è atteso fino a fine 1500, quando il navigatore spagnolo Alvaro de Mendana avvistò per puro caso Fatu Hiva, fermò la flotta per alcuni giorni, e diede il nome: Islas Marquesas de Mendoza, in onore del marchese Mendoza, vicerè del Perù che finanziò l’impresa; poi fu la volta di Cook  a fine 700, ma i veri colonizzatori furono i francesi, che scelsero queste isole per contrastare il dominio della Marina Britannica nel mondo e nel 1842 la bandiera Francese fu issata a Tahuata, nel nome del re Luigi Filippo di Francia. Ai giorni nostri altri due francesi fecero delle Marchesi e di Thaiti la loro dimora permanente, uno è Paul Gauguin e l’altro il famoso navigatore, maestro di tutti noi velisti oceanici, Bernard Moitessier.
A presto da Ariel
Paolo& Cecilia & team

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