Shelter Bay 28 gennaio-3 febbraio 2020 – versante atlantico
Panama City 4 febbraio – 8 febbraio 2020 – versante pacifico
Il ritmo panamense ci ha invaso non appena abbiamo ormeggiato a Shelter Bay, sul lato atlantico del canale, in un marina accogliente, apparentemente molto fascinoso per le mangrovie che si costeggiano nel fiordo d’ingresso, ultraprotetto in ogni condizione di vento e mare, circondato da una foresta pluviale abitata dalle scimmie urlatrici, dal Cerro Pavone e farfalle giganti gialle e turchesi, in realtà purgatorio e luogo obbligato per l’interminabile espletamento delle pratiche burocratiche per l’attraversamento del canale. Questo il motivo del silenzio stampa dei diari di Ariel. Le giornate trascorrevano però velocemente nonostante il ritmo panamense, anche perchè stratificate di problemi da risolvere, la costante di ogni navigatore con la propria barca.
Siamo arrivati dalle San Blas con due batterie scoppiate e l’impianto a 24 volt in crisi. Non si molla mai, e grazie ad un po’ di fortuna e l’incontro con Rudy, un elettricista nautico olandese, siamo riusciti con 20 ore di lavoro in 3 intensi giorni arrivare alla soluzione soddisfacente del problema. Non mi dilungo nei dettagli, ma Ariel oggi sta meglio ed è dotata di un nuovo parco batterie incrementato nella sicurezza e nella capacità con le nuove batterie FireFly (Carbo-Agm) i cui video su you tube consiglio a tutti i naviganti a vela. Il 2019 è stato un anno asciutto, con poca pioggia nella regione di Panama, pertanto lo schema di transito per le barche dell’ARC, e per ogni barca a vela, è modificato; non più insieme a gruppi di 12 a riempire la vasca della chiusa, ma solo a 3 alla volta, insieme ad una grossa nave. Questo ha rallentato enormemente i tempi di transito, ma soprattutto ha scombinato i piani di molti equipaggi, con arrivi e partenze di ospiti ed amici. ANche noi siamo stati colpiti dalla scure dei ritardi. Traverseremo il 3 febbraio invece del 2, costringendo gli amici Guido e Luisa ad abbandonare Ariel per non rischiare di perdere il volo di ritorno a casa, ed il sottoscritto a fare la voce un pò tonante con l’organizzazione per ri-proteggerli con un passaggio su un’altra barca.
Attraversamento del canale
Così accade e partono il 2 a bordo di Jan, il rassy 48 dell’amico Giorgio, il chirurgio sardo-americano, mentre noi con i nuovi arrivati, Marco e Margherita, e Guido Giatti, che avendo il volo il 5, decide di correre il rischio (tanto l’avrebbe spostato in caso di ulteriore ritardo, diceva un po’ preoccupato, ma in realtà molto motivato a vivere l’esperienza del passaggio). Ore 18 del 3 febbraio molliamo gli ormeggi insieme a Domini, il catamarano inglese di 47 piedi, e Maximilian, un bel Moody 47 sempre inglese, non recente, ma dalle linee evergreen uscite dalla matita di Bill Dixon.
Il buio arriva presto mentre ciondoliamo fuori dal porto nella vasta area protetta dal mare ma non dal forte vento che soffia fino a 25 nodi da nord in attesa del nostro Advisor, l’uomo del canale, che ci accompagnerà per la prima parte del percorso. Il canale di Panama unisce l’oceano Atlantico con il Pacifico attraversando un lago artificiale, il lago Gatùn, situato a 26 metri sopra il livello atlantico, con un sistema di 3 chiuse, per ritornare poi in pacifico abbassandosi, metro più o metro meno, con altre tre chiuse. Procediamo nella notte a motore in un corridoio ideale sfilando immense navi e boe rosse non sempre illuminate, per trovarci alle 20 alla prima chiusa. Ci affianchiamo in 3, Domini in mezzo, noi a sinistra e Maximilian a dritta. Legati entriamo all’unisono nella chiusa di 1000 piedi, in gran parte occupata da una immensa nave, ed in coda noi piccoli. L’emozione è grande, e la procedura non proprio un gioco da bambini.
Il portellone gigante di metallo borchiato costruito in Pennsilvanya nei primi anni del 1900 si chiude lentamente alla nostra poppa e l’acqua lentamente sale. L’illuminazione ed i colori, simili al piombo, alla roccia nera ed alla pietra vulcanica , rimandano la mente ad un immaginifico di una Londra antica, umida, grigia e nera. Mentre l’acqua si alza al ritmo di un metro al minuto, i nostri uomini alle cime di prua e di poppa (Guido e Margerita a prua e Marco a poppa) devono recuperare con ritmo lento ma costante, senza errore, pena l’intraversamento, mentre io al timone cerco di tenere la prua dritta, perchè dipendiamo da Maximilian a dritta e da Domini al centro. All’arrivo a livello (9 metri per chiusa) siamo pronti per passare alla successiva, mentre rinforza il vento e subiamo inermi la turbolenza delle eliche della nave. Però con un “excelente” da parte del nostro advisor, ricuorati procediamoa verso la seconda chiusa. L’operazione si chiude alle 2230, quando nella notte grigia, poco illuminata dalla luna per la coltre di nubi, entriamo nel lago Gatùn, dove passiamo la notte attaccati ad una boa enorme di gomma. A tavola alle 23 con un buon vino e la magica pasta al forno della Ceci, abilmente preparata prima, molto apprezzata anche dal nostro Ivan che ci lascia per la notte, quando attenderemo il prossimo advisor per il secondo tempo del passaggio all’alba del 4 febbraio. Un’alba che passa con un buon caffè ma senza Advisor, che si palesa alle 9, giovane, ma che si rivelerà meno preparato del primo. La giornata inizia con l’attraversamento del Lago Gatùn, di 25 miglia, mentre ne apprezziamo la natura selvaggia senza intravedere nessun coccodrillo, abitante costante di queste acque, dove nessun umano vive. A domani per il prosieguo del diario.
Aiel team