Polinesia Francese, Isole Tuamotu, atollo di Fakarava
4 giugno 2020
Paradiso, Purgatorio e Inferno
Una navigazione di 254 miglia da Moorea, contro le correnti ed i venti dominanti per raggiungere il paradiso delle Tuamotu, i veri atolli polinesiani, dove sole, palme, spiagge coralline e lagune turchesi hanno riempito le brochure delle agenzie viaggi e contribuito ad affollare i sogni di tutti.
La navigazione è stata piacevole nonostante le ultime 70 miglia controvento e corrente spinti solo dalla volontà del nostro Oliver, ma alle 9 del mattino, in favore di marea, preventivamente calcolata, Ariel sontuosamente metteva la prua nell’atollo di Fakarava superando la facile passe. In laguna il mare si calma, ridossati dal vento dominante da Est, che continua a soffiare senza ostacoli, ma l’onda sontuosa dell’oceano resta fuori.
Poche miglia ci separano dall’ancoraggio nord di fronte al villaggio di Rotoava, l’unico significativo della cintura di terre emerse di questo grande atollo, tra i più grandi dell’arcipelago che copre una distanza tra i due più lontani ben superiore a quella che c’è tra Bolzano e Palermo. Un’immensità d’acqua costellata da piccoli o grandi atolli corallini. Il sole alle 10 è pari al nostro mezzogiorno in un paese del sud; violento e già quasi perpendicolare, oltretutto senza ombre, se non quella delle palme, fitte, ma non ubiquitarie.
Siamo i soli con Milanto e Sea Lover ed un altro catamarano a contenderci le boe d’ormeggio gestite e preparate da Andrè dello Yachting Services di Fakarava, un francese non proprio longilineo, che con la moglie dopo anni di navigazione a vela per il Pacifico, hanno fatto il nido qua. Gestiscono l’unico piacevolissimo luogo di incontro per i vagabondi velisti come noi, mettendo a disposizione casa e giardino con WiFI, lavanderia, e-bike, caffè e qualsivoglia servizio possa servire ad un turista che arriva per mare, e non solo.
Fakarava si presenta luminosa, senza ombre, calda e sorniona, quasi sonnolente, privata dei turisti confinati fortunatamente dal Covid a casa loro e fornendo a noi fortunati navigatori immagini d’altri tempi. Una strada asfaltata di 20 km percorre gran parte della cintura di terra emersa dall’aeroporto a nord, fino quasi alla parte sud dell’atollo. Una strada costruita con fondi del governo Francese in occasione di una programmata visita dell’allora presidente Chirac, poi di fatto mai avvenuta. Ma la strada è rimasta, conferendo un tocco di occidentalità ad un luogo dove l’asfalto era probabilmente ignoto prima di allora. Correva l’anno 1978, e così è rimasto. L’impressione è di un luogo turistico, ora però silenzioso ed addormentato, verde e bianco, dove cani, galli e galline paiono ad una prima occhiata forse gli unici abitanti.
Spinti dalle esigenze primarie, o dal caldo e dal sole accecante, prestissimo troviamo l’unico ristorante, se così possiamo definirlo, aperto, dove la proprietaria, incallita anti-Covid, (NB; qui il confinamento, ridicolo peraltro, è appena finito) e ci accoglie senza mascherina, con un accattivante sorriso, ma soprattutto con birra gelata e pesce crudo alla polinesiana, in latte di cocco, spiegandoci che gli esperimenti nucleari dei francesi, dal 1968 al 1974 fecero molte più vittime del covid, ed ancora oggi, con leucemie nei bambini ed altre patologie croniche nei meno giovani, vivono lo spettro di un passato drammatico. Sarà per questo che i francesi, rosi dal senso di colpa, cercano di aiutare l’incremento demografico garantendo alle future mamme, due mesi (uno prima del parto, ed uno dopo), spese dello stato, in centri specializzati a Tahiti. Ma non basta a lenire le ferite di un passato fatto di sofferenza. La nostra padrona di casa ha perso il marito per le bombe, ed ha una figlia leucemica, per questo lotta ancora oggi per sensibilizzare il turista, per non dimenticare. Oggi il turista siamo noi. In tempi non Covid arrivano 4 aerei al giorno da Tahiti e due navi da crociera al mese ad affollare l’unica strada e cavalcare le 65 bici ora impolverate in un capannone. Ma il 2020 un disastro. Abbiamo la fortuna di vivere quindi anche qua, come a Moorea, un luogo incantevole senza le folle urlanti. Uno dei benefici del Covid.
Con noi pranza Stephanie, la moglie di Andrè, che riconosciamo dal logo stampato sulla t shirt, che nonostante il dolore blu navy non riesce a nascondere i segni della prosperità, sebbene più che il seno colpiscono la gentilezza, il sorriso, la disponibilità ed i modi a farci sentire già parte della comunità di Fakarava. Andrè e Stephanie diventano il nostro faro. Ci preparano 9 bici (e-bike) per il giorno dopo dove potremo scoprire ogni angolo dell’isola (anche se non è appropriato chiamarla isola). Il faro del 1857, unico nella Polinesia per quei tempi, la Perl Farm, dove si coltiva la perla nera, così famosa in questi luoghi, e la “fabbrica del cocco” dove scopriamo che dal cocco si ricava praticamente tutto. A parte evitarlo quando passeggi sotto le palme, perché potrebbe ucciderti se ti cade sulla testa, per il resto lo usano come bevanda quando è giovane; l’acqua di cocco è dissetante e nutriente, poi usano il latte quando è più maturo, per marinare il pesce e per altre usanze culinarie, la polpa, a tutte le età, compresa l’età adulta (del cocco), quando cade da solo dalla pianta, e non ha più acqua o latte, ma solo una polpa vecchia, non più commestibile, ed allora deve esistere la professione dello “spaccature di cocchi anziani”, perché incontriamo pedalando (fortunatamente assistita), questi personaggi sorridenti che spaccano i cocchi per separare la buccia sugherosa e sfilacciata, da un residuo di polpa che verrà trattata per ricavarne il famoso Olio di Cocco delle Tuamotu, potente emolliente, cicatrizzante, panacea per i capelli e per la cute, ed associato alla curcuma importante antiossidante ed anti infiammatorio. La natura al servizio dell’umanità.
Ora mi fermo perché il computer chiama energia, e pure le mie membra chiedono la cuccia, in questa notte di luna quasi piena che rende la croce del sud meno luminosa del solito, ma spruzza argento nella laguna.
a domani da Ariel
Paolo & Cecilia