Paradiso, Purgatorio e Inferno
5 GIUGNO 2020
TUAMOTU, PACIFICO CENTRALE, ATOLLO DI FAKARAVA.
Scopriamo lentamente la vita in un atollo polinesiano, dove il tempo scorre come altrove, anche se l’impressione è che rallenti, mentre è sempre subito sera. Le abitazioni sono diverse dalle altre isole della Società, sebbene anche qui il giardino viene vissuto e curato come parte dominante, lasciando agli interni intravedere solo spazi aperti, senza stanze. Un unico ambiente dove c’è tutto, tranne il bagno, isolato e spesso fuori dalla casa. Il giardino è il pezzo forte, floreale, pulito accogliente e mentre a Fakarava non contiene altro se non due o tre seggiole all’ombra di una palma, a Moorea o a Tahiti invece è custodia di tutto ciò che la famiglia possiede, sia materialmente che come affetti. Si vedono le auto, dalla più recente più o meno lucida a seconda dello stato sociale, alle precedenti, ormai carcasse trasformate in pollai. Poi la barca, onnipresente e delle più svariate fogge e materiale, utile per la pesca dentro il reef, o semplicemente per spostarsi da un villaggio all’altro; non manca mai nemmeno la canoa polinesiana, tipica struttura sottile e filante a bilanciere. Lo stato di mantenimento della canoa è segno dell’età degli abitanti, ovvero se i figli in età adolescenziale o poco più in là sono ancora in casa, viceversa dove le canoe giacciono abbandonate è segno che sono rimasti solo gli anziani, che prima o poi finiranno nel cimitero di casa, o tomba di famiglia, sempre nello stesso giardino. E’ infatti usanza seppellire i propri cari nel giardino di casa, perchè restino vicini, testimoni di un amore senza tempo.
Andiamo a visitare l’unica Perl Farm di Fakarava, famosa ed oggi aperta solo per noi, mentre Gerard, il proprietario tedesco, ci racconta la storia un po’ magica di questo gioco della natura, come l’ostrica perlifera crea nel tempo la perla. Le ostriche si chiamano infatti perlifere perchè sono in grado se un granello di sabbia, od un residuo corallino viene risucchiato nei loro perenni movimenti di apertura e chiusura delle valve per filtrare l’acqua, e trattenuto nelle gonadi, nel tempo viene progressivamente rivestito della componente traslucida, dura, grigio argento fino all’antracite, e farle raggiungere dimensioni proporizonali al numero di anni che il procedimento richiede. La natura crea spontaneamente perline irregolari, poi l’uomo ha capito che avrebbe potuto creare perle sferiche, perfette. Ecco che negli anni 60 i giapponesi inventano il sistema di inserire nelle gonadi non un granello di sabbia, ma una piccola sfera di madreperla, unitamente ad una componente epiteliale dell’ostrica donatrice, sacrificata, e scelta in base al colore interno della sua valva; infatti la perla che l’ostica ricevente porterà in grembo sarà del colore della ostrica donatrice. E così sono nati gli allevamenti di ostriche perlifere. Qui a Fakarava ci sono 500.000 ostriche, ed una perla di 8mm di diametro impiega 6 anni a crescere nella pancia della sua mamma ostrica. La natura però vince sempre e non escono sempre perle perfette, nonostante la precisione dei “Chirurghi”. E così si trovano perle sferiche, ma altre ovali, a pera, o comletametne anarchiche, a patata. Le più pregiate sono le sferiche, che a loro volta vengono classificate con tripla A max. Il top, senza imperfezioni. Una perla di un cm tripla A max, può raggiungere il valore di mercato di 500-700 dollari. Poi c’è la doppia A e la A semplice, sempre perle di altissimo valore, ma ideali solo per la oreficeria e non per la collezione. Oggi esistono perle cinesi, dallo spessore della parte preziosa, quella grigia che ha fatto l’ostrica in tanti anni, molto sottile: al solito sono riusciti a devastare il mercato, mandando in crisi molti allevamenti qui alle Tuamotu, che hanno visto crollare i loro guadagni. Ma la perla nera vera, quella che nasce dalle ostriche di queste acque, è solo qui.
Oggi decidiamo di partire presto per la parte sud dell’atollo, che è grande, come un lago immenso, ovale, di 30 miglia nautiche (circa 60 km) nel lato più lungo e 20 nel lato corto. Attraversarlo può riservare sorprese sgradite se non si presta la massima attenzione. Teste di corallo a pelo d’acqua lo segnano come macchie di leopardo, ed è gioco forza seguire la cartografia digitale, fortunatamente dettagliata e fedele al metro. Ma vietato uscire dai binari, troppo rischioso. Il canale migliore è sotto costa, ovvero segue il bordo della caldera del vecchio vulcano, mostrando un paesaggio dolce, morbido, accogliente, che tanto richiama la navigazione sul Nilo. Ovviamente questo dettaglio lo scopriremo solo al ritorno, perchè all’andata spavaldi prendiamo il canale centrale, inizialmente spinti da un vento fresco. Purtroppo però qui il tempo cambia forse più rapidamente che sulle Dolomiti da noi, e repentinamente il vento rinfresca, sia di temperatura che di intensità, il cielo si incupisce, trasformando l’azzurro ed il bianco cotonoso delle nubi in ammassi neri carichi di acqua. Attimi che ormai conosciamo bene e presto mettiamo Ariel in assetto riducendo le vele in sicurezza, ma ciò che si perde completamente è la visibilità, la pioggia uniforma in una costellazione di grigi cielo e mare, e si perdono ogni traccia delle pericolose teste di corallo. Non possiamo rischiare e procediamo con navigazione strumentale riguadagnando progressivamente il più sicuro canale vicino alla “costa”. Fortunatamente questi fenomeni tanto rapidamente arrivano ed altrettanto rapidamente se ne vanno, ristabilendo un equilibrio di colori, odori ed immagini restituendo subito la magia e la pace dell’atollo. Ma attenzione, sempre attenzione, perchè in caso di rotazioni del vento dalla parte non dominante, si possono verificare situazioni più da purgatorio che da paradiso, dato che il ridosso è praticamente solo dai venti di Nord ed Est.
A Fakarava ci si può accedere da due passe, la nord, facile ed ampia, e quella sud, stretta e più tortuosa, e per questo con correnti che raggiungono gli 8 nodi! e che si alternano in parte ogni 6 ore. Questo a tutta prima sembra difficile, ma poi i giochi matematici dei calcoli di marea diventano semplici quando si capisce il meccanismo. Ancoriamo all’ora di pranzo in uno specchio d’acqua turchese mentre numerosi, anzi molto numerosi squali pinna nera si avvicinano curiosi allo specchio di poppa mentre facciamo scendere il tender in acqua e decidiamo di soprassedere al bagno…
La discesa a terra ci fa scoprire un luogo lontano nel tempo da un lato, e dall’altro invece conquistato dalla contemporaneità, con l’intento di trasformarlo in un luogo esclusivo di vacanza. Obiettivo probabilmente raggiunto in epoche non covid, perchè ora è deserto, con solo due turisti anche loro approdati in barca ed in viaggio per la circumnavigazione, come noi. Programmiamo una cena per il giorno seguente presso l’unico luogo possibile, una terrazza di legno (vedrete foto sul sito) su palafitta a ridosso della passe, che si raggiunge con una passerella su uno specchio d’acqua dove squali e pesci giganti di ogni tipo placidamente aspettano qualche pezzo di cibo. È usanza infatti che la gestione della spazzatura in questi luoghi ricalchi le stesse caratteristiche di noi navigatori. Separazione di carta, palstica, vetro e alluminio e tutto l’organico in mare; una vera festa per tutti loro. Questa passe è famosa perchè abitata da un numero di squali ed altri pesci enormi, mai calcolato da essere umano. Sono troppi. Il centro diving, ora però chiuso al grande pubblico perché assente, ma disponibile per noi fortunati, programma immersioni in corrente facendo il così detto drifting, ovvero a certi orari, nuotare con gli squali. Optiamo per la più semplice discesa a mare con la guida Kacù facendo snorkeling, ovvero senza bombole, in favore di corrente, in uscita verso l’oceano, facendo molta attenzione a non lasciare a troppa distanza la parete della passe, per evitare di venire espulsi in mare aperto come tappi di champagne. Non senza apprensione partiamo e seguiamo fedeli le istruzioni di Kacù. Un’esperienza esaltante, della durata di 30 minuti circa, e rientro in una spiaggetta incontamianata alla fine del villaggio, in corrente nuotando insieme a pesci Napoleone di 40 kg, squali pinna nera, e qualche squalo grigio, ed altre varietà di tutti i colori, ma enormi e davvero a migliaia. Chiedo a Kacù, che si è preso 50 dollari a testa, se posso ripetere l’esperienza da solo, portando altri amici. Promosso. E da allievo divento guida e ripeto il percorso altre tre volte, cogliendo ad ogni passaggio dettagli che sfuggono ad una sola immersione. L’ultima la migliore, perchè sei rilassato, sai cosa ti aspetta in termini di difficoltà, e ti puoi concentrare sui pesci, curiosissimi ed assolutamente innocui. Da allora il bagno con gli squali pinna grigia lo facciamo anche dalla barca, poi gli diamo i resti della cena, e dovreste vedere che banchetti si fanno! Prima di lasciare Fakarava decidiamo di tornare a nord, e di restare dentro l’atollo, il meteo non è buono nei prossimi giorni per una depressione molto pesante a 200 miglia da noi che porterà venti forti da ovest. Approfittiamo quindi di una giornata magica per fare vela verso Rotoava, al nord, in realtà l’unico posto dove, bene o male, potremo stare. In fondo siamo dentro un atollo.
Ma questa esperienza la racconto nella prossima puntata. L’inferno.
A presto da Paolo & Cecilia